L’INTERVISTA a Mariangela Condello, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria CV

Caserta. Mariangela Condello, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, si occupa tra l’altro di violenza di genere e sui minori. Il fenomeno della violenza di genere è ormai da tempo riconosciuto come un’emergenza sociale. Il 25 novembre si celebra nel mondo la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, un fenomeno che sta diventando sempre più preoccupante tale da essere definito dall’ONU “flagello mondiale”.

Tante le iniziative messe in campo per sostenere le donne vittime di violenza, ma le donne continuano a non denunciare per paura. Dottoressa, che cosa non funziona? Cosa scatena la violenza sulle donne? Quali gli allarmi che le donne non devono sottovalutare?

Negli ultimi anni le iniziative, sociali, legislative e culturali, messe in campo per sostenere le donne vittime di violenza sono senza dubbio aumentate in modo esponenziale e devono certamente essere salutate con grande favore, in quanto finalizzate all’emersione della violenza fisica e morale che si consuma tra le mura domestiche.

L’obiettivo è quello di far comprendere alle donne che subiscono maltrattamenti, atti persecutori, violenze ed altre frustrazioni, che non sono sole, che esistono diverse strade per venire fuori anche dalle situazioni più gravi e che numerosi sono gli strumenti di protezione, non solo legale e giudiziaria, ma anche sociale e psicologica di cui possono servirsi una volta denunciato il proprio compagno violento.

Ciononostante, è vero che esiste ancora un dato consistente di situazioni di violenza familiare che non riesce ad emergere, in quanto le vittime non trovano la forza di denunciare, poiché completamente soggiogate anche psicologicamente dai propri compagni violenti – i quali spesso riescono a manipolare le persone offese – o comunque spaventate da eventuali ritorsioni ben più gravi e violente.

Altre donne non denunciano per vergogna o ancora per timore di affrontare la fase successiva alla denuncia, che indubbiamente è impegnativa, in quanto si rende necessario raccontare a persone estranee fatti e vicende privati e gravi e quindi rivivere ogni volta momenti drammatici (ma è tanto impegnativa quanto liberatoria!).

Le violenze sulle donne molte volte terminano in femminicidi; il fenomeno non accenna a diminuire e si allunga ogni settimana la lista con i nomi delle vittime, di tutte le età e, sempre più spesso, la maggioranza viene uccisa in ambito familiare o affettivo. Ma c’è anche un altro aspetto che non deve essere sottovalutato.

Purtroppo sono queste le situazioni in cui maturano le vicende con epiloghi drammatici che così tristemente di frequente ascoltiamo al telegiornale o leggiamo sui giornali. Per questo motivo è importante continuare ad informare le donne circa l’importanza dell’emersione della violenza familiare e circa le possibilità e gli strumenti di tutela che sono concretamente offerti in caso di denuncia.

Voglio però precisare che a volte le donne non denunciano o ritirano le denunce sporte nei confronti dei loro compagni non solo per paura e per soggiogazione, ma anche per ragioni di carattere economico. Spesso, infatti, capita che le donne vittime di violenza fisica e morale, siano anche vittime di un’altra forma di violenza, che solo apparentemente sembra essere meno grave, e cioè la violenza economica. Mi riferisco in particolare alle donne che, per scelta o per costrizione, non svolgono attività lavorativa o comunque non hanno la disponibilità di risorse economiche proprie, ma dipendono completamente dai compagni sotto il profilo reddituale ed economico. Ebbene, sono proprio loro che non denunciano o rimettono le querele sporte perché, in caso di separazione o di arresto del compagno, temono (come per la verità spesso purtroppo accade) di non avere più a disposizione i mezzi di sussistenza necessari per se stesse e per i propri figli.

Questo è certamente un aspetto fondamentale che non va sottovalutato e che merita ulteriori interventi legislativi e di politica economica, che siano in grado di garantire alla donna che decide finalmente di denunciare, mezzi economici e prospettive lavorative e reddituali, tali da consentirne una certa autonomia.

L’isolamento economico forzato, quindi, è uno dei campanelli di allarme che nessuna donna dovrebbe sottovalutare, al pari di quelli che si manifestano in maniera più evidente e palese, come l’utilizzo di forme di violenza fisica, il ricorso frequente ad espressioni minacciose, le costrizioni di carattere sessuale. Anche l’isolamento forzato da parenti ed amici è un altro dato fattuale che spesso si riscontra nelle vicende di violenza domestica, in quanto il compagno violento tende ad isolare la propria vittima dal resto del mondo, sia per evitare che emergano gli episodi di violenza consumati all’interno delle mura domestiche, sia per rendere maggiormente efficaci la manipolazione e la soggiogazione della vittima in atto.

Un bambino che vive la violenza sulla mamma in casa, farà altrettanto da adulto?

Ci sono numerosi studi che dimostrano la sussistenza di una certa correlazione tra le forme di violenza assistita e quelle di violenza agita: il minore, costretto ad assistere ai maltrattamenti subiti dalla madre ad opera del padre, tenderà a riproporre da grande nelle sue relazioni sentimentali ed amicali le medesime dinamiche violente cui è stato abituato fin da piccolo, considerandole di fatto la normalità.

È stato dimostrato, infatti, che i minori esposti ad episodi di violenza familiare sono più propensi ad esercitare forme attive di violenza nei rapporti con gli altri minori/adolescenti ed in particolare forme attive di bullismo nei confronti dei compagni. Alcuni, invece, sono più propensi ad essere vittime di bullismo, essendo stati costretti ad assistere alle violenze passivamente subite dalla madre ad opera del padre.

Per combattere questa forma di violenza, oltre alle Leggi, servono adeguate forme di prevenzione e di educazione. Lei partecipa spesso a convegni, incontri e seminari con studenti. Cosa dice loro?

È anche questa la ragione per cui ritengo molto importante parlare a scuola dell’argomento della violenza contro le donne. Occorre, infatti, già nelle scuole primarie, informare i minori dell’esistenza del fenomeno, spiegandone i contorni, la gravità, le conseguenze ed i rimedi: informarli serve a far conoscere e riconoscere loro il fenomeno soprattutto in un’ottica di prevenzione e di diffusione della cultura della legalità e della non violenza.

Tra gli argomenti che spesso scelgo di trattare in occasione degli incontri con gli studenti cui ho avuto il piacere di partecipare vi è quello della violenza economica, cui prima ho fatto riferimento: l’obiettivo è quello di far comprendere alle studentesse ancora minorenni l’importanza di essere autonome anche sotto il profilo economico e lavorativo e la potenziale gravità di dipendere economicamente dal proprio compagno.

Sicuramente di strada ce ne è ancora tanta da fare, ma tanta ne è stata finora percorsa nel lungo cammino della lotta contro la violenza sulle donne: i livelli di attenzione sociale, legislativa e giudiziaria sono ormai elevatissimi, gli standard degli strumenti di protezione offerti continuano a migliorare, sono state predisposte proficue reti di protezione della donna che decide di denunciare, in cui sono coinvolti diversi operatori ormai specializzati e formati, dai medici dei pronto soccorsi ai magistrati, dalle forze di polizia agli assistenti sociali.

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