Caserta (di Antonio Arricale). È morto Berlusconi. E con lui il berlusconismo. O di quello che di lui rimane. Invero, a Caserta, provincia tra le più bianche d’Italia (nel senso di marcata caratterizzazione politica democristiana) il berlusconismo era morto già da tempo. Sopravviveva, certo, in alcuni atteggiamenti ridondanti di pittoreschi epigoni locali di terza o quarta fila, ma come impegno politico rappresentato ad un livello superiore era morto, appunto, nel 2013 o giù di lì, con il protagonismo di Riccardo Ventre e Nicola Cosentino. Il primo, eurodeputato, più volte presidente della Provincia, non a caso di scuola democristiana; il secondo, invece, già consigliere regionale e più volte parlamentare e sottosegretario all’Economia, oltre che coordinatore di Forza Italia, di area riformista, proveniente dalle fila del partito socialdemocratico.
E furono, appunto, dai bacini degli ex riformisti e dei democristiani (quelli che non si vollero piegare all’abbraccio della sinistra ex comunista, pur vantando un trascorso nella sinistra di Base della Dc) ad emergere le prime adesioni a quello che, almeno in un primo momento, veniva guardato come un movimento, un interessante esperimento di Liberaldemocrazia. Qualcosa, cioè, addirittura di rivoluzionario – nel senso ideale del termine – rispetto alla piega restaurativa che sembrò evidente, sin dall’inizio, prendere invece la politica, con la nascita del PDS (Partito democratico della sinistra) e delle successive trasformazioni che lo hanno portato all’attuale PD.
Era il 1994 ed in Italia si provava ad uscire dal ciclone di Mani pulite. La nascente Forza Italia, a Caserta cominciò a prendere forma in Via G. M. Bosco, attraverso colloqui quasi clandestini con alcuni funzionari di Publitalia, in una stanza interna della Standa, la catena di ipermercati rilevata appunto da Berlusconi per esigenze di liquidità, dove ora svetta il marchio OVS. E da lì a poco prendeva definitivamente forma sul Corso Trieste, negli uffici dell’ingegnere Luigi Fucci, che ne fu per lunghi anni il coordinatore provinciale.
E fu qui che prese corpo, in vista delle elezioni politiche, il nascente polo di centro-destra (Polo delle Libertà e poi Polo del Buon Governo) in contrapposizione all’Alleanza dei progressisti (coalizione di sinistra) e del Patto per l’Italia. Quest’ultimo, raggruppamento centrista dell’ex Democrazia Cristiana, che con l’eclisse definitiva della stella di Mario Segni – peraltro, promotore del referendum istituzionale sul sistema elettorale maggioritario, che vinse – si travasò, appunto, armi e bagagli, quasi completamente in Forza Italia.
E fu quella davvero una bella stagione di fermento politico per la provincia di Caserta, peraltro largamente in controtendenza – come spesso è stato – rispetto al quadro nazionale, che durò poco più di un ventennio, passando appunto per la conquista della Provincia di Caserta, con Ventre (e prima ancora della Regione Campania, con l’insediamento alla presidenza di Antonio Rastrelli, galantuomo vecchio stampo, espressione dello scongelato – sempre da Berlusconi – del vecchio MSI) del Comune di Caserta, sindaco il visionario Luigi Falco, e di Nicola Cosentino, che intanto da consigliere regionale era diventato vice-coordinatore regionale di Forza Italia, e via via l’unico punto di riferimento di quel partito in Campania.
Una stagione, a pensarci bene, che non fu neanche tanto breve, della quale però rimane ben poco, sia in termini di proposta che di rinnovato impegno politico. Del resto, travolto dalle polemiche (alcune sacrosante altre smaccatamente faziose) e pressato dalla ragione aziendale, i migliori propositi di liberalismo del primo Berlusconi, con la strategia e la visione politica cedettero velocemente il passo alla tattica della sopravvivenza.
E molti protagonisti di quella stagione, delusi, lasciarono. Rimasero in campo soltanto, come detto, gli epigoni di un malinteso berlusconismo. Ed ora che l’originale è morto, neanche più loro.
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