Napoli. Discriminazioni in condominio per chi ha problemi motori. Il tema è di strettissima attualità alla luce degli incentivi per l’abbattimento delle barriere architettoniche a cui si può far ricorso, rimodellati dal decreto legge 212/23 con la riduzione dello spettro degli interventi agevolabili con il 75%: ora sono incentivabili le opere per eliminare le barriere architettoniche «aventi ad oggetto esclusivamente scale, rampe, ascensori, servoscala e piattaforme elevatrici».
Sul tema l’ordinanza di Cassazione 17138/2023 ha statuito che «in materia di tutela antidiscriminatoria delle persone con disabilità vittime di disparità di trattamento nell’ambito di un contesto condominiale, costituisce discriminazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 67/2006, la situazione di inaccessibilità all’edificio determinata dall’esistenza di barriere architettoniche».
All’origine della pronuncia il caso di un disabile impossibilitato ad andare a trovare la sorella, residente in un condominio a lui inaccessibile. L’uomo aveva citato Comune e amministratore dello stabile, chiedendo la condanna in solido per condotta discriminatoria, oltre al risarcimento del danno, e i supremi giudici hanno accolto la richiesta.
La legge 67/2006 dispone per le persone con disabilità, di cui all’articolo 3 della legge 104/1992, una particolare tutela giurisdizionale per tutte quelle situazioni in cui il disabile risulti destinatario di trattamenti discriminatori al di fuori di un rapporto di lavoro.
La Supreme corte nel richiamare i principi espressi dalla legge 67/2006 (articolo 2) ha ribadito che «l’esistenza di un’ampia definizione legislativa e regolamentare di barriere architettoniche e di accessibilità rende la normativa sull’obbligo dell’eliminazione delle prime, e sul diritto alla seconda per le persone con disabilità, immediatamente precettiva e idonea a far ritenere prive di qualsivoglia legittima giustificazione la discriminazione o la situazione di svantaggio in cui si vengano a trovare i disabili, consentendo loro il ricorso alla tutela antidiscriminatoria, quando l’accessibilità sia impedita o limitata, a prescindere dall’esistenza di una norma regolamentare apposita che attribuisca la qualificazione di barriera architettonica ad un determinato stato dei luoghi» (Cassazione 18762/2016 e Cassazione 3691/2020). Da ultimo il concetto stesso di disabilità va interpretato in senso ampio, sì da doversi ritenere che la normativa concernente il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche di cui alla legge 13 del 1989, articolo 2, sia applicabile anche alle persone che, in conseguenza dell’età avanzata, pur non essendo portatori di handicap, abbiano comunque disagi fisici e difficoltà motorie.
La giurisprudenza della Suprema corte ha d’altro canto sottolineato come l’impossibilità di osservare tutte le prescrizioni della legge 13/89 per particolari caratteristiche dell’edificio non comporti la totale inapplicabilità delle disposizioni di favore finalizzate anche solo ad agevolare l’accesso agli immobili dei soggetti versanti in condizioni di minorazione fisica.
Ciò che risulta determinante al riguardo è che l’intervento produca comunque un risultato «conforme alle finalità della legge, attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione» (Cassazione 4734/2015 e Cassazione 21568/2012).
Si può concludere quindi che, laddove il condominio abbia omesso qualsiasi intervento volto all’abbattimento delle barriere architettoniche, il soggetto portatore di disabilità anche non condomino potrà agire contro il condominio/amministratore avvalendosi della tutela antidiscriminatoria della legge 67/2006 con lo scopo di ripristinare la parità di trattamento, così da consentirgli di partecipare pienamente a tutti gli ambiti della vita di relazioni sociali.