Caserta. Si è svolto sabato scorso presso l’Istituto Salesiano di Caserta, nell’occasione della Giornata della Legalità, un incontro del ricordo del beato magistrato Rosario Livatino, organizzato dall’Unione Exallievi Don Bosco “Umberto Cirillo”.
L’evento ha visto la partecipazione di Francesco Cananzi, consigliere della Corte di Cassazione, e di Domenico Airoma, magistrato e presidente del Centro Studi Rosario Livatino, i quali hanno presentato la particolare figura del giudice siciliano ed il suo impegno nella lotta alla criminalità organizzata dall’inizio del suo incarico fino al tragico epilogo del 21 settembre 1990, in cui fu ucciso mentre si recava, senza scorta, in tribunale ad Agrigento.
Ad aprire la mattinata con gli studenti delle scuole medie e del liceo sono stati don Antonio D’Angelo, direttore della Casa Salesiana di Caserta, Gennaro Iannotti, avvocato e presidente dell’Unione Exallievi Don Bosco “Umberto Cirillo” di Caserta, e Giuseppe Zullo, magistrato ed exallievo salesiano, presidente della sezione di Santa Maria Capua Vetere dell’Associazione Nazionale Magistrati. Ha introdotto e moderato don Roberto Spataro, salesiano e docente di lettere classiche, delegato all’Unione Exallievi.
ROSARIO LIVATINO
«Il nome di Livatino non era nemmeno riportato sui giornali al momento del suo omicidio – racconta Domenico Airoma – anche a causa del difficile territorio in cui ha vissuto ed ha operato, fortemente votato all’insularità ed all’omertà in cui mafia e vita quotidiana si mescolavano senza soluzione di continuità. Basti pensare che Rosario Livatino abitava nel medesimo palazzo in cui viveva, al piano superiore, il capomafia locale. Aveva una grande vocazione per il suo lavoro ed era profondamente cristiano, frequentava ogni giorno la Santa Messa e, per questo, nell’ambiente mafioso lo chiamavano “il santocchio”, motivo per cui è stato beatificato perché assassinato “in odium fidei”. Questa grande fede è stata all’origine di tanti segni che si sono accompagnati dopo la sua morte: tutti i suoi mandanti ed esecutori si sono pentiti e la sua morte ha contribuito alla scomunica degli appartenenti alla criminalità organizzata emanata da papa Giovanni Paolo II nel 1993 in visita ad Agrigento».
IL SENSO DELLA GIUSTIZIA
«Rosario Livatino era intriso di un forte senso di giustizia – spiega Francesco Cananzi – che applicava quotidianamente, senza fare rumore: un esempio straordinario di ordinario e straordinario insieme. Era fortemente garantista, anche di fronte ai detenuti, nonostante la delicatezza delle indagini affidategli: pur essendo giorno di festa, si racconta si sia diretto nel suo ufficio il 15 agosto per evitare che un carcerato restasse in cella un solo giorno in più. Come Falcone, è stato uno dei primi ad applicare il blocco alle finanze della mafia ed uno dei primi ad occuparsi di ambiente e di abusivismo nella valle dei templi».
«Quello del giudice Livatino è un mirabile esempio di instancabile servitore dello Stato e grande uomo di fede – conclude Gennaro Iannotti – una figura da diffondere sempre più tra i giovani perché portatrice di valori intramontabili. Aver avuto modo di ripercorrerne nella storia solleticando la curiosità di tanti studenti ha rappresentato un’occasione di condivisione davvero importante».