Al Comunale di Caserta la presentazione de libro “Quei giorni perduti” di Comes/Manna

Caserta. La presentazione del libro Quei giorni perduti di Giu­seppe Carlo Comes e Alessandro Manna, edito dalla società editrice casertana L’Aperia, si svolgerà mercole­dì 10 aprile 2024, ore 17.30, nella sala al piano superio­re del Teatro Comunale C. Parravano (Via Mazzini 71, Caserta). Con gli autori ne discuteranno Maria Beatrice Crisci ed Enzo De Rosa. Interverranno la referente del Patto per la Lettura Città di Caserta Lucia Monaco e l’assessore alla Cultura del Comune di Caserta Enzo Battarra. La manifestazione è organizzata in collabora­zione con Patto per la Lettura Città di Caserta, Caserta città che legge, Liberalibri e Caserta Eventi e notizie.

Il libro

Il titolo: «Quei giorni perduti» sono le prime parole di una delle perle lasciateci in eredità da Fabrizio De André. Abbia­mo scelto di qualificare perduti i giorni del lockdown – ai quali si riferiscono gran parte dei testi e le immagini raccolti nel libro – per due motivi. Il primo è evi­dente a tutti, poiché nella vita di ognuno sono stati cancellate del tutto o in gran parte le attività quotidiane: la scuola, il lavoro, il tempo dedicato agli affetti e alle amicizie, e così via elencando. Ma ancora più grave è la considerazione che è andata persa, almeno finora, l’occasione di riconsi­derare in maniera critica e propositiva il nostro stile di vita, dove “nostro” non è riferito soltanto a noi italiani ma, chi più chi meno, a tutti gli abitanti del Pianeta che non siano Terzo o Quarto Mon­do. Questo non vuol dire, però, che quel periodo e quelle esperienze vadano considerate del tutto e irrimediabilmente persi. Anche se momenti, eventi, comportamenti, pensieri e propositi positivi sembrano non aver fruttificato, in certi campi ancora la Storia procede lentamente, sembra dimen­tichi ma spesso sta metabolizzando.

G. C. Comes: «Era il 20 di febbraio del 2020 quando decisi – perché avevo capito, tardi, perché ave­vo sperato d’essermi sbagliato – che quel micro-essere che si incuneava nei polmoni dei primi citta­dini di Wuhan avrebbe prodotto un uragano in Europa e ovunque nel mondo. Avevo anche spera­to, con un connotato alto di egoismo italico, che la diffusione del virus potesse essere confinata nel­la immensa città dov’era apparso. In fondo gli ottomila cinquecento settantatré chilometri che se­parano Caserta e Wuhan potevano essere abbastanza per essere ottimisti, fosse stato solo per il tempo, che, memore di Marco Polo, illusoriamente calcolavo fosse assai lungo, perché quell’invisi­bile e implacabile uccisore, sconosciuto e imprendibile, percorresse intera la Via della Seta».

A. Manna: «Durante il periodo più tragico dell’emergenza pandemica per il Covid19, nelle settimane di lockdown, sul settimanale Il Caffè, per la rubrica Occhio discreto, ho provato a ragionare di immagini, emblemi, simboli, icone, che si andavano conformando e che, trami­te social e chat, ci stavamo scambiando e condividendo. E quindi, nei discorsi (meglio, nei

pensieri che andavo condividendo a mia volta) si sono sommati l’analisi fotografica, a partire dal valore documentario delle immagini e della costruzione di simboli e icone, l’osservazione dei social e del web in generale e, ovviamente, la mestizia dei tempi, i numeri, le foto, la man­canza di contatti, solo sublimata da videoconferenze, webinar, riunioni via Pc».

Gli autori

Giuseppe Carlo Comes dice di sé che ha imparato, da bambino, a leggere e a scrivere disegnando le lettere dell’alfabeto sulle mattonelle di creta della casa del nonno con un pennello intinto nell’ac­qua; si è divertito da ragazzo a scrivere su giornaletti ciclostilati locali; ha allargato i luoghi ove depo­sitare i suoi pensieri – dai muri, ai bagni, ai dazebao – durante la contestazione sessantottina. Lau­reatosi in Economia ha coperto ruoli di direzione e di consulenza in aziende ed enti locali, sceglien­do di rimanere scomodo, soprattutto per sé. La sua penna esprime, senza perifrasi, la sacrosanta indignazione per la consunzione dei valori, per l’ottuso consumismo, per la diffusa corruzione, per la gratuita e barbara violenza che connotano i nostri tempi, ma anche l’entusiasmo, che non rinun­cia all’ironia, e la speranza che battersi con coerenza e con coraggio non è mai inutile. Se uno scritto non riesce a infastidire nessuno – è il suo pensiero – è meglio non scriverlo.

Alessandro Manna si occupa di comunicazione e design. Fotografa dal 1980, prima nell’ambito del Gruppo Fotografico Il Pentaprisma fino al 1985 e poi, dal 1993, con Dagherro-Tipi Fotoamatori In­sieme, associazione di cultura fotografica di cui è tra i promotori e con la quale partecipa e organiz­za mostre, proiezioni, concorsi, dibattiti, corsi e workshop. Ha ricevuto menzioni speciali e premi in diversi concorsi e ha vinto (1994) la terza edizione del concorso nazionale Immagine: nuove frontie­re organizzata da C.G.S. Movies 2000. È del marzo 1995 la sua prima personale, La presenza del passato, cui sono seguite Il velo di Maja (2001/2002 con testi e critiche di Giorgio Tani, Nando San­tonastaso, Angelo de Falco e Enzo Battarra), Manipolando (2003), Owen chiama Ferdinando (2004) e Setografie (2006) con la presentazione di Giorgio Agnisola. Ha collaborato per diversi anni alle at­tività delle gallerie Studio Oggetto e Metro Spazio Arte, curando mostra e scrivendo di critica foto­grafica e artistica; collabora, dalla fondazione, a “Il Caffè”. Appassionato di enogastronomia è presi­dente di Slow Food Caserta APS.

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