Un’importante sentenza ha portato ad una svolta per quanto riguarda la gestione degli abusi edilizi: ora cambia tutto.
Con il termine abuso edilizio si fa riferimento ai casi in cui la costruzione o ristrutturazione di un edificio non avviene nel rispetto delle normative previste. Questo indica diverse tipologie di illeciti e i responsabili possono rischiare sanzioni sia penali che amministrative. Tuttavia, esiste anche la possibilità di rimediare ad una situazione non conforme alla legge grazie alle disposizioni del cosiddetto Decreto Salva Casa.
La misura ha l’obiettivo di facilitare il processo di regolarizzazione degli edifici qualora gli abusi edilizi siano di minore entità. Il Decreto Salva Casa mira a far sì che le procedure amministrative risultino meno rigide, offrendo la possibilità di ovviare alle difformità più velocemente e con maggiore efficacia tramite una sanatoria.
Abusi edilizi, così si rischia di non poter procedere con la sanatoria
I proprietari di immobili che si avvolgono del Decreto Salva Casa devono necessariamente indicare quali sono le irregolarità presenti nell’edificio. Queste potrebbero riguardare la realizzazione di modifiche interne in assenza di autorizzazioni, per fare un esempio. La misura permette di regolarizzare l’immobile senza correre il rischio di incappare in ulteriori sanzioni.
Eppure, non è sempre possibile fare ricorso al Decreto Salva Casa. Una recente sentenza del Consiglio di Stato ha messo in evidenza come non in tutti i casi una situazione di abuso possa essere regolarizzata. La delibera riguarda un appellante che si è contrapposto al rifiuto, da parte del T.A.R., di accettare la richiesta di sanatoria e l’accertamento di conformità previste dal Testo unico sull’edilizia.
Il ricorso era stato presentato in seguito al riconoscimento dall’amministratore di alcune violazioni messe in atto durante i lavori in un immobile come abusive. Nel dettaglio, gli interventi consistevano nella trasformazione di un locale cantina adibito a deposito in un ambiente residenziale, con tanto di arredo ed impianti domestici. A ciò si aggiungeva la costruzione di un deposito e di un box auto su aree comuni dell’edificio.
Il tutto era avvenuto nel mancato rispetto delle concessioni edilizie originali. I lavori, inoltre, erano stati realizzati in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico. La richiesta di sanatoria aveva a che fare con tre aspetti in particolare: la realizzazione di nuovi volumi, il cambio di destinazione d’uso e la violazione delle disposizioni dei vincoli paesaggistici.
Nonostante il ricorso dell’appellante – il quale ha dichiarato che gli abusi non erano stati effettuati dai proprietari attuali dell’edificio e che la demolizione non si legava a nessun interesse pubblico -, il Consiglio di Stato ha confermato quanto deciso dal T.A.R. La sentenza permette di fare chiarezza su alcuni punti fondamentali per quanto riguarda gli abusi edilizi.
Il primo è che le ordinanze di demolizione impongono un vincolo. Coloro che si trovano obbligati a rimuovere l’abuso, a prescindere dal fatto che sia stato commesso dal proprietario attuale o meno, devono rispettarle. Quest’ultimo figura come responsabile anche nei casi in cui i lavori siano stati eseguiti dal proprietario precedente. Affinché avvenga la sanatoria, inoltre, non è sufficiente dichiarare che l’opera abusiva possa essere regolarizzata.
Il proprietario deve dimostrare che l’opera era conforme sia quando è stata realizzata che quando la domanda di sanatoria è stata presentata. Con la sua sentenza, per concludere, il Consiglio di Stato ha sottolineato che la presenza di lavori abusivi in zone vincolate paesaggisticamente non possono essere sottoposti a sanatoria, in quanto contrari alle norme di tutela del territorio.