Roma. Attilio Cubeddu, Giovanni Motisi, Renato Cinquegranella e Pasquale Bonavota. Dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, restano quattro i super latitanti “di massima pericolosità” inseriti nella lista dei più ricercati stilata dal Viminale.
Nome storico dell’Anonima sequestri sarda, nasce ad Arzana, in provincia di Nuoro, nel 1947 e dopo diversi reati commessi da giovanissimo si scopre una vocazione per i rapimenti: partecipa tra gli altri a quelli Rangoni Machiavelli, Bauer e Peruzzi, fino all’arresto del 1984 a Riccione. La condanna a 30 anni sembra l’inizio della fine, ma lui che è furbo e determinato si comporta da detenuto modello e riesce ad ottenere diversi permessi premio: da uno di questi, concessogli nel gennaio del 1997 a Badu ‘e Carros per vedere moglie e figlie, “dimentica” di rientrare. E’ da quel momento che diventa praticamente un fantasma. Un fantasma che si materializza nei giorni del sequestro Soffiantini, di cui è implacabile carceriere (“il più cattivo di tutti”, secondo l’imprenditore bresciano) e che polizia e carabinieri cercano inutilmente ovunque: in Corsica, Spagna, Germania, Sud America e, naturalmente, in Sardegna, dove secondo alcuni avrebbe trascorso gran parte della sua latitanza, protetto da un network di fiancheggiatori. Negli anni si è fatta strada l’ipotesi che in realtà sia morto, ucciso da un complice per una storia di soldi: nel dubbio, la caccia resta aperta.
Detto, “u pacchiuni”, “il grasso”, 63 anni, palermitano doc, è ricercato dal ’98 per omicidio, dal 2001 per associazione di tipo mafioso e dal 2002 per strage. Ha l’ergastolo da scontare, il killer di fiducia di Totò Riina, secondo un collaboratore di giustizia presente anche quando si parlò per la prima volta di ammazzare il generale Dalla Chiesa. Nel ’99, durante la perquisizione della sua villa di Palermo, spunta una fitta corrispondenza tra lui e la moglie Caterina, bigliettini recapitati da ‘postini’ fidati assieme a vestiti e regali. Ed è dello stesso anno l’ultima ‘apparizione’ certa in Sicilia di “u pacchiuni”, alla festa di compleanno della figlia: nelle foto ritrovate diversi anni dopo risaltano le pareti coperte con lenzuola bianche per non far riconoscere il posto. Da allora, più niente o quasi tanto da alimentare il sospetto – ricorrente nelle grandi latitanze – che Motisi possa essere morto.
Un’altra ipotesi è che abbia cercato, e trovato, riparo in Francia: l’esattore del racket Angelo Casano ha raccontato che nel 2002 Motisi ‘perse’ la reggenza di Pagliarelli a vantaggio di Nino Rotolo e che per un paio d’anni si nascose nell’Agrigentino, ‘terra’ di Giuseppe Falsone. Boss arrestato nel 2010 dalla Gendarmeria francese a Marsiglia.
Boss della camorra, classe 1949, anche di Renato Cinquegranella si sono praticamente perse le tracce dal 2002. Ricercato per associazione a delinquere di tipo mafioso, concorso in omicidio, detenzione e porto illegale di armi, estorsione ed altro, originariamente legato alla “Nuova Famiglia”, storici rivali della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, di lui resta negli archivi una vecchia foto sgranata in bianco e nero, calvizie avanzata, occhiali, baffi neri e sguardo fisso nell’obiettivo.
Un volto come tanti, eppure il suo nome compare nelle cronache giudiziarie di due dei delitti che più hanno scosso Napoli: l’omicidio di Giacomo Frattini, alias “Bambulella”, soldato della Nco, torturato, ucciso e fatto a pezzi nel gennaio dell’82, e il massacro del capo della Mobile Antonio Ammaturo e del suo autista, Pasquale Paola, firmato nel luglio dello stesso anno dalle Brigate Rosse. L’episodio confermò l’esistenza di un ‘patto scellerato’ tra le Br e i capi-zona della camorra del centro di Napoli. Dal dicembre 2018 sono state diramate le ricerche in campo internazionale, finora senza esito.
È l’ultimo entrato nel gruppo dei latitanti “di massima pericolosità” inseriti nel ‘Programma speciale di ricerca dal Giirl, il Gruppo integrato interforze per la ricerca dei latitanti istituito presso la Direzione centrale della polizia criminale. L’omonima cosca di ‘ndrangheta è una delle più potenti e temute, seconda solo ai Mancuso nel ‘feudo’ di Vibo Valentia: se il fratello Domenico – figlio del defunto boss dell’omonimo clan di Sant’Onofrio – è ritenuto il capo dell’ala “militare”, Pasquale, 48 anni, è la “mente”. Ricercato dalla fine di novembre del 2018 per associazione di tipo mafioso e omicidio aggravato in concorso, fa perdere le sue tracce dopo una condanna in primo grado all’ergastolo (poi cancellata in appello) rimediata nel processo “Conquista”.
“Negli anni – si legge in uno degli ultimi rapporti ‘Mafie nel Lazio’ – è stato in grado di imprimere importanti cambiamenti nella sua cosca, estendendone gli affari a Roma”: sua, agli inizi del nuovo millennio, sarebbe la prima ‘locale’ autonoma della criminalità calabrese nella capitale. Ma i Bonavota hanno interessi ben avviati anche in Liguria, Piemonte e all’estero.
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