Recale (di Lucio Seneca). Dopo 22 anni si chiude con la vittoria del Comune di Recale, la vicenda che vedeva contrapposti l’ente casertano e la società Industria Calce Casertana – che aveva chiesto 6 milioni di risarcimento all’amministrazione comunale a seguito di una ordinanza di chiusura dell’azienda emessa nel 2001 a firma dell’allora Sindaco in carica.
Il Consiglio di Stato, in particolare, ha confermato la decisione di primo grado respingendo il ricorso della I.C.C. che nel 1999 fu invitata a delocalizzare l’attività per motivi legati alle emissioni industriali dannose per l’ambiente. Una convenzione non rispettata dalla società che fu oggetto di chiusura per decisione del sindaco.
Il Comune – assistito dall’avvocato Luigi Adinolfi – emise l’ordinanza del 26 giugno del 2001 perché l’azienda all’epoca operante sulla via Appia antica, nel settore della produzione di calce e materiali da costruzione, non aveva provveduto a delocalizzare il detto impianto, malgrado l’impegno assunto in un’apposita convenzione del 18 marzo del 1999 stipulata con l’ente locale.
Si trattava – si legge nella sentenza della quarta sezione del Consiglio di Stato (presidente Spisani, estensore Zeuli), di un «impianto industriale ‘insalubre di I categoria’, così trasformato rispetto all’originaria natura artigianale; la struttura era situata in zona agricola, dunque la sua collocazione era in palese contrasto con le previsioni del Piano di fabbricazione; necessitava di manutenzione sia ordinaria che straordinaria, il che ne aggravava le potenzialità inquinanti; presentava abusi edilizi non condonati. Per tutte queste ragioni, era stato oggetto di cinque ordinanze, (di sospensione attività, rimozione materiali lavorati, diffida) tutte motivate a causa della sua attività inquinante in area a ridosso di centro abitato, non mitigata da adeguato sistema anti smog».