Aversa. Il castello Aragonese di Aversa, dove tra l’altro ultimamente sono stati ritrovati reperti borbonici, adeguato alla meno peggio a sede del tribunale di Napoli Nord, non ha aule adeguate per contenere imputati e loro difensori, pertanto il processo viene traslocato nell’aula bunker del carcere di Poggioreale in Napoli.
È quanto deciso dal giudice monocratico, dott.ssa Sara Iaccarino, della seconda sezione Penale del tribunale di Napoli Nord, rinviando agli inizi di ottobre prossimo, il processo inerente il mercato delle false marche da bollo poi utilizzate nei tribunali di Napoli Nord e Santa Maria Capua Vetere, processo che vede coinvolti 27 professionisti.
A finire sul banco degli inputati sono in maggioranza tutti avvocati civilisti di Giugliano in Campania, Napoli, Recale, San Cipriano d’Aversa, Casal di Principe, Afragola, Torre del Greco, Pomigliano d’Arco, Cesa, Marano di Napoli, Frignano, Aversa, Castel Volturno, Praia a Mare, Melito e Casoria.
Si dovrà quindi aspettare gli inizi di ottobre 2023 per la prima udienza, data in cui i difensori degli inputati dovranno esporre le loro tesi difensive. Il collegio difensivo vede coinvolti, tra gli altri legali, gli avvocati Smarrazzo, Alfonso Quarto, Marrocco, Capasso, Della Gatta, Romano, Martino, Furgiuele e Iascone Maglieri.
L’indagine specifica sulle marche da bollo, che vede coinvolti i 27 professionisti, è un ramo della inchiesta ben più articolata, partita nel gennaio 2020, che ha portato alla luce come Villa Literno fosse il centro di smistamento, la roccaforte dei falsari, tanto di marche da bollo e titoli quanto di banconote e monete. L’organizzatore di tutto sarebbe stato individuato in Massimiliano Di Filippo di Villa Literno, agli atti dell’accusa falsario, difatti era lui il gestore della stamperia ubicata nella cittadina dell’Agro, individuata e sequestrata nel luglio 2020.
All’atto del sequestro, nel centro di produzione clandestino vennero anche sottoposte a sequestro migliaia di marche da bollo per un valore di circa 200mila euro, e patenti false, queste ultime destinate al litorale romano. Emerse anche che i supporti riportanti lo stemma della Repubblica Italiana e l’intestazione, venivano importati dalla Cina e compilati grazie all’utilizzo di sofisticati sistemi hardware e software.