Santa Maria Capua Vetere. È forse arrivato il momento clou del maxi processo relativo alla “perquisizione straordinaria” ad opera di oltre 280 agenti penitenziari, provenienti anche dai carceri di Avellino e Secondigliano, e dei successivi pestaggi ai danni di oltre 200 detenuti avvenuti all’interno del reparto Nilo del penitenziario “Francesco Uccella” di Santa Maria Capua Vetere, il 6 aprile 2020, nei tristi giorni della Pandemia da Covid-19.
Il processo si svolge nell’aula bunker del tribunale Sammaritano, sita proprio all’interno della struttura penitenziaria, aula che ha visto celebrare anche la seconda parte del Processo Spartacus contro il “clan dei Casalesi“, rimessa a nuovo per volontà della dott.ssa Gabriella Maria Casella, presidente del Tribunale, proprio per celebrare il maxi processo che vede imputati 105 tra agenti penitenziari, funzionari del DAP e medici dell’ASL di Caserta. Gli imputati rispondono alle accuse, a vario titolo, di tortura, lesioni gravi, falso, depistaggio, violenza privata e abuso di autorità.
Il processo inizia ad avviarsi probabilmente verso il momento cardine, il momento in cui gli avvocati difensori dovranno sudare 7 camicie per affrontare qualsiasi tesi difensiva, che, difronte alle evidenze dei filmati, diventerebbe debole. Ciò che l’opinione pubblica ha appreso ed impresso nella mente, soprattutto supportata da alcuni spezzoni di filmati delle telecamere di sorveglianza pubblicati da varie testate nazionali, e che per la Procura di Santa Maria Capua Vetere costituisce la base solida per sostenere le accuse, è che il 6 aprile del 2020, nel reparto Nilo del carcere Uccella ci fu una vera e propria mattanza: detenuti in fila uno dietro l’altro che venivano picchiati con manganelli, presi a calci, ed altro, dagli agenti, alcuni in tenuta antisommossa e col volto coperto dal casco e anche grazie all’uso della mascherina anti Covid-19, posti ai lati dei corridoi.
Filmati che sono stati anche difficili da sequestrare, da quanto si è appreso dall’ex comandante della compagnia dei Carabinieri di Santa Maria Capua Vetere, il capitano Emanuele Macrì, attualmente al comando della compagnia CC di Cagliari, ascoltato come teste lo scorso 8 marzo. “Difficoltà“, quella riscontrata dal comandante, che ha spinto gli inquirenti a contestare l’ipotesi di reato di depistaggio all’allora capo del DAP in Campania Antonio Fullone, e agli ufficiali della penitenziaria intervenuti nel carcere casertano, per “cancellare” le prove dei pestaggi, impressi nelle immagini delle telecamere interne.
L’ufficiale dei Carabinieri riferì che: “Il 10 aprile 2020 dopo aver ricevuto la delega dalla Procura ad indagare su quanto avvenuto il 6 aprile, inviai i miei collaboratori a cercare le immagini delle telecamere, e fu detto loro che il sistema di videosorveglianza interno, in particolare del reparto Nilo dove erano avvenute le violenze, non funzionava“.
Nel corso della odierna udienza è stata mostrata solo la prima parte di 3 ore e mezza dei filmati, il resto sarà fatto vedere nell’udienza del 17 maggio. Tutto il girato del giorno 6 aprile 2020 dalle telecamere presenti ai tre piani dei Nilo ammonta a 70 ore totali.
A descrivere le scene il brigadiere dei carabinieri Medici, che dopo i fatti interrogò i detenuti e si occupò del riconoscimento degli agenti intervenuti. “La perquisizione parte nelle sezioni tre e cinque del reparto, ed inizialmente – spiega Medici – partecipano solo agenti del carcere di Santa Maria Capua Vetere, quasi tutti con mascherina ma senza casco, quindi facilmente riconoscibili dai detenuti“.
Poco dopo arrivano anche i poliziotti penitenziari del Nucleo Pronto Intervento provenienti dalle carceri di Secondigliano e Avellino, “i più violenti” durante la perquisizione come emerso da indagini e video, in quanto muniti di caschi e mascherine, tanto che in molti non sono stati ancora identificati. Clicca qui per sapere di più su “Violenze carcere Uccella”.
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