Aversa. “Il poliziotto Oscar Vesevo va assolto perché non ha mai preso la pen drive di Zagaria, e la sia principale accusatrice, Rosaria Massa, è inattendibile”. Così Giovanni Cantelli, avvocato difensore del poliziotto accusato di essersi impossessato, durante le operazioni di cattura del boss dei Casalesi, del supporto che avrebbe contenuto i segreti del capoclan, ha cercato di smontare l’ipotesi del pm della Dda di Napoli Maurizio Giordano, che nella requisitoria del 9 maggio aveva chiesto 7 anni per Vesevo; questi risponde di peculato e corruzione con l’aggravante mafiosa in relazione alla pen drive, peraltro mai ritrovata, e di truffa e accesso abusivo a sistema informatico.
Zagaria fu arrestato il 7 dicembre 2011 nel bunker sotterraneo alla villetta di Casapesenna di proprietà dei coniugi Vincenzo Inquieto e Maria Rosaria Massa, entrambi arrestati e condannati per favoreggiamento mafioso; la villetta è stata abbattuta nel febbraio scorso. Durante le operazioni di cattura, cui presero parte numerosi poliziotti delle Squadre Mobile di Caserta e Napoli, c’era anche Vesevo, allora a Napoli; ad accusarlo prima un paio di pentiti, quindi durante il processo proprio la Massa, che disse di aver visto Vesevo prendere la pen drive, specificando però che il supporto era della figlia e conteneva musica e documenti personali della ragazza, non i segreti del capoclan come ritenuto dalla Dda.
Per il pm Giordano Vesevo avrebbe venduto la pen drive per 50mila euro, ritenuto dunque il prezzo della corruzione, all’imprenditore Orlando Fontana, che però in relazione a tale episodio è stato assolto in un altro processo. Nell’arringa l’avvocato Cantelli ha ricordato che “nell’istruttoria dibattimentale le dichiarazioni della Massa sono state smentite da altri testimoni, come i colleghi di Vesevo, che hanno riferito di non averlo visto prendere la pen drive”. “In questo processo – ha concluso il difensore – abbiamo assistito ad un capovolgimento della realtà, con i servitori dello Stato che hanno assunto il ruolo di accusati”.