Santa Maria Capua Vetere (di Giovanni Maria Mascia). “Dalla mia bocca non è mai uscito che eravamo lì per uccidere Sebastiano Caterino, da me i Morronese non lo hanno saputo“, queste le parole del collaboratore di giustizia Massimo Vitolo che poi ha aggiunto “ma i Morronese erano a disposizione, andavamo spesso da loro anche per incontrare gli imprenditori ai quali facevamo le estorsioni“.
Il pentito ex capozona di Santa Maria Capua Vetere, Capua ed Agro Caleno, per contro del gruppo Schiavone è stato sentito ieri dal pubblico ministero Simona Belluccio della DDA nel processo per il duplice omicidio di Sebastiano Caterino e di Umberto De Falco, uccisi il 31 ottobre del 2003 a Santa Maria Capua Vetere.
Condannato a diciotto anni per la stessa vicenda processuale, Vitolo ha confermato che fu Cicciariello a decidere l’eliminazione di Caterino perché “si era messo contro i Casalesi” e gli indicò la proprietà della famiglia Morronese come base logistica. Vi furono dei primi appostamenti nell’agro aversano ed in particolare il boss fu localizzato sulla Domiziana, ma era in compagnia di Pasquale Fava e dei suoi uomini che lo proteggevano “rinunciammo perché avremmo dovuto fare una strage, non un omicidio“, per cui si decise di spostare il luogo dell’agguato a Santa Maria Capua Vetere ed in particolare il luogo dell’appostamento nella tenuta dei Morronese che si trovava a soli 150 metri dall’abitazione di Sebastiano “l’Evraiuolo”, dove da una terrazza era possibile controllare i movimenti del boss scissionista. Quella mattina ad aprire il cancello sarebbe stato proprio Agostino Morronese.
La mattina dell’agguato a fare da specchiettisti c’erano Francesco Zagaria e Claudio Giuseppe Virgilio che li avvertirono che Caterino stava uscendo “aspettammo perché Caterino andò a casa di Salvatore Amato, dove rimase per una mezz’oretta, una volta uscito dopo cento metri tagliammo la strada alla Golf, io stavo su un’auto insieme a Vincenzo Schiavone ‘Petillo’, Oreste Caterino e Vincenzo Conte (ndr del gruppo Schiavone), su un’altra auto c’erano Martinelli, Lanza e Spierto (ndr del gruppo Zagaria-Iovine), sparammo tutti con kalashnikov, fucili a pompa e pistole calibro 7,65“.
Vitolo ha aggiunto che utilizzarono guanti e passamontagna e che qualche giorno dopo, insieme a Mario Mauro, portò ai Morronese un televisore come ringraziamento.
In sede di controesame da parte dell’avvocato Giuseppe Stellato, il pentito ha confermato che le armi si trovavano sui sedili delle auto e che erano visibili dall’esterno solo se ci si avvicinava ai finestrini e che i passamontagna furono indossati una volta usciti dall’abitazione degli imputati.
In seguito è stato escusso il pentito Salvatore Laiso, che ha iniziato a collaborare con gli inquirenti nel 2010 in seguito all’omicidio del fratello. Condannato a undici anni per la stessa vicenda, il pentito ha confermato di aver preso parte solo ad alcuni appostamenti con un’Alfa 164 e due moto alla ricerca di Sebastiano Caterino e che utilizzavano come base d’appoggio l’abitazione dei Morronese “lo zio e la zia ci portavano sempre il caffè“.
Dopo ha reso una lunga dichiarazione spontanea Corrado De Luca che ha contestato le accuse dei pentiti, professandosi ancora una volta innocente.
Il pubblico ministero ha rinunciato alla deposizione degli altri pentiti indicati nella lista testi. Il presidente della Corte d’assise, Roberto Donatiello, ha rinviato l’istruttoria al 12 settembre per l’esame di un teste di polizia giudiziaria e degli imputati Agostino Morronese, il padre Sandro, la madre Raffaelina Nespoli e Corrado De Luca, difesi dagli avvocati Stellato, Raimondi e Della Gatta, mente per la parte civile sono costituiti gli avvocati Iodice, Trocciola e Conte.