Santa Maria Capua Vetere. Non ci sarebbe stato nessun isolamento per 15 detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere, ritenuti tra i più facinorosi nell’aprile 2020, in epoca di lockdown e rivolte, e dunque da trasferire, e che figurano tra le vittime dei pestaggi avvenuti il 6 aprile di quell’anno. È emerso dal processo sulle violenze in corso all’aula bunker del carcere Francesco Uccella di Santa Maria Capua Vetere con 105 imputati, tra poliziotti della penitenziaria, funzionari del DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) e medici dell’ASL Caserta.
Per la Procura di Santa Maria Capua Vetere, i 15 detenuti sarebbero quelli che hanno avuto la peggio durante la perquisizione straordinaria, definita “mattanza” dal GIP che il 28 giugno del 2021 fece arrestare alcune decine di agenti. Per i PM Alessandro Milita, Alessandra Pinto e Daniela Pannone, i 15 detenuti, dopo essere stati malmenati insieme ad altre decine di reclusi dagli agenti, sarebbero finiti in isolamento, subendo dunque una misura che per l’accusa avrebbe anche integrato il reato di tortura.
Ma in aula l’imputato Gaetano Manganelli, comandante della polizia penitenziaria a Santa Maria Capua Vetere nel periodo dei pestaggi, ha preso la parola per dichiarazioni spontanee, spiegando che non ci fu nessun isolamento per i 15 detenuti che la sera del 6 aprile, dopo i pestaggi, furono trasferiti dal reparto Nilo, dove avvennero le violenze, al Danubio, in quanto i detenuti trasferiti erano in due nelle celle, mentre se fossero stati in isolamento, sarebbero dovuti essere da soli. “I 15 detenuti erano dunque in regime ordinario” ha dichiarato Gaetano Manganelli, citando anche un ordine di servizio.