Napoli. Oltre 250 anni di carcere sono stati invocati dai PM della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli per 31 persone, tra cui figli e parenti del capoclan dei Casalesi Francesco Bidognetti conosciuto anche per il suo acronimo, Cicciotto ‘e Mezzanotte, nell’ambito del processo con il rito abbreviato alle cosiddette nuove leve del clan casertano in corso davanti al Giudice dell’Udienza Preliminare di Napoli, Nicoletta Campanaro.
In particolare i sostituti procuratori Graziella Arlomede, Vincenzo Ranieri, Maurizio Giordano e Fabrizio Vanorio hanno chiesto 16 anni di reclusione per Gianluca Bidognetti, figlio di Cicciotto, 4 anni per le altre due figlie del boss, Katia e Teresa Bidognetti. Stessa pena è stata chiesta per Emiliana e Francesca Carrino, strette parenti di Anna Carrino, collaboratrice di giustizia ed ex compagna di Cicciotto nonché madre di Gianluca, Teresa e Katia.
Per la Direzione Distrettuale Antimafia gli imputati, che rispondono a vario titolo di associazione camorristica, estorsione, traffico di droga e altri reati, avrebbero riorganizzato le fazioni del clan storicamente facenti capo alle famiglie Schiavone e Bidognetti, imponendo il pizzo agli operatori commerciali, uno dei quali ferito alle gambe da colpo d’arma da fuoco perché si era rifiutato di pagare, controllando lo spaccio di stupefacenti attraverso il pagamento di tangenti da parte dei pusher; i due gruppi si sarebbero anche incontrati per definire una cassa comune, pur mantenendo la loro autonomia.
Di rilievo per i giudici antimafia la figura di Gianluca Bidognetti, che dal carcere, è detenuto dal 2008 per il tentato omicidio della zia e della cugina Francesca, anch’essa imputata, avrebbe controllato il clan utilizzando cellulari illegalmente introdotti, arrivando a progettare anche un omicidio, mai però avvenuto.
Tra le accuse alla fazione Bidognetti anche quella di praticare l’usura, vittime imprenditori e cittadini che avrebbero contratto debiti con tassi d’interesse fino al 240%, e controllare controllo le agenzie di onoranze funebri dell’agro aversano, il cosiddetto settore del “caro estinto”, grazie accordi criminali risalenti agli anni 80, attraverso un “consorzio di imprese” che è stato sottoposto a sequestro.