Maxi processo violenze carcere, un testimone: “Vennero nelle celle a massacrarci non per cercare i telefonini”

Santa Maria Capua Vetere. Tra racconti seri, gesti di insofferenza, qualche espressione sopra le righe e una disarmante spontaneità, è andata in scena al processo per le violenze avvenute il 6 aprile 2020, in piena pandemia da Covid-19, all’interno carcere Francesco Uccella di Santa Maria Capua Vetere, la testimonianza dell’ex detenuto Salvatore Quaranta, costituitosi parte civile in quanto vittima dei pestaggi; quasi uno show terminato con l’apprezzamento da parte di Quaranta dell’operato del presidente del collegio di Corte d’Assise Roberto Donatiello.

Il maxi-processo che vede imputati in 105, tra poliziotti della penitenziaria, funzionari del DAP, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, e medici dell’ASL Caserta, è in corso nell’aula bunker dello stesso carcere sammaritano.

“Lei è un buon uomo presidente, ma la legge è forte con i deboli e debole con i forti” dice l’ex detenuto prima di lasciare definitivamente, dopo diverse udienze tra esame del pm e controesame dei difensori degli imputati, il banco dei testimoni. Poco prima di concludere la testimonianza, Quaranta, sollecitato dal PM Alessandro Milita, mostra anche il dente scheggiato durante le violenze commesse dagli agenti penitenziari il 6 aprile di tre anni fa.

Milita si avvicina anche al teste, che a tutta l’aula e alle decine di avvocati e imputati presenti fa vedere, aprendo più volte la bocca, quel dente per il quale, spiega, “ho speso anche duemila euro“. Qualche avvocato ride, uno dei più combattivi, l’avvocato De Stavola (difensore di diversi agenti), si oppone perché a suo parere la domanda del PM sul dente non è nuova e non poteva essere posta, visto che già se ne era parlato nelle scorse udienze.

Che pesantezza” dice sempre Quaranta quando proprio De Stavola gli chiede se qualche detenuto, dopo le violenze del sei aprile, avesse avuto gli antidolorifici. “Ho già risposto a questa domanda” dice Quaranta prima di pronunciare l’insofferente espressione. Più volte il teste si alza dalla sedia di fronte a domande dei difensori che lo infastidiscono, o si arrabbia quando gli vengono fatte contestazioni sulle dichiarazioni rese in fase di indagine.

Restano poi i racconti della giornata delle violenze resi da Quaranta, delle tante botte prese soprattutto da agenti con casco e mascherina, in cella, nel corridoio, sulle scale. “Vennero nelle nostre celle a massacrarci” riferisce Quaranta, “e non per cercare i telefonini“, e “la sera non ci diedero neanche le medicine per il dolore“.

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