Marcianise. Per il TAR Campania ci sarebbero legami stabili tra la nota azienda di autotrasporti di Salvatore Bizzarro, Autoservizi Bizzarro, con sede a Marcianise e la camorra, in particolare il locale clan Belforte detti anche Mazzacane.
Lo scrive il Tribunale Amministrativo della Campania – sezione prima presieduta da Gianmario Palliggiano – nella sentenza in cui respinge il ricorso presentato dall’imprenditore, in passato presidente del club calcistico di Marcianise, ex consigliere e presidente del Consiglio comunale, contro la decisione della prefettura di Caserta che non ha concesso la certificazione antimafia richiesta dall’azienda per l’iscrizione nella cosiddetta “white list” per il settore autotrasporti e contro la decisione dell’Autorità Garante per il Mercato di revoca del rating di legalità.
I giudici amministrativi partenopei danno conto di diverse circostanze da cui emergerebbe la vicinanza tra l’azienda e il clan: la presenza come dipendenti di Bizzarro di stretti parenti di importanti camorristi, come il 49enne Francesco Cirillo, fratello del 52enne Pasquale, killer dei Belforte ed ergastolano, o di Raffaele Cutillo, 47enne incensurato, e soprattutto fratello di Paolo, alias Jack Cutillo, fedelissimo di Raffaele Cutolo ucciso nel 1986 durante un conflitto a fuoco con i poliziotti del Commissariato di Villaricca-Giugliano mentre era in auto con Domenico Belforte, fondatore dell’omonimo clan, che in quell’occasione fu arrestato.
C’è poi il 26enne Salvatore Belforte, figlio di Benito, fratello dei capi-clan Domenico e Salvatore, che svolge servizio di portierato non armato per conto di una società di vigilanza presso il deposito di Bizzarro.
La difesa ha eccepito che i fatti contestati sarebbero relativi ad un periodo risalente in cui l’azienda era gestita dal papà di Bizzarro, e che l’imprenditore sarebbe una vittima del clan, avendo pagato sempre il pizzo. A sua volta il Tar, che cita diversi pentiti che hanno indicato invece Bizzarro come colluso, in particolare l’ex esponente di spicco del clan Bruno Buttone, dà conto della consolidata giurisprudenza amministrativa che fa rientrare nel significato di “imprenditore colluso” anche la cosiddetta “contiguità soggiacente”, che si ha quando un operatore economico si lascia “condizionare dalla minaccia mafiosa e si lascia imporre le condizioni da questa volute, o per altro verso, decida di scendere consapevolmente a patti con la mafia nella prospettiva di un qualsivoglia vantaggio per la propria attività”. Dunque pagare il pizzo non vuol dire essere per forza una vittima, ritengono i giudici.
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