Appalti RFI ai “Casalesi”, la Cassazione: il processo rimarrà al tribunale di Santa Maria Capua Vetere

Roma. Il processo sulle infiltrazioni del “clan dei Casalesi” negli appalti delle Ferrovie dello Stato rimarrà al tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Lo ha deciso la Corte di Cassazione, che ha dichiarato inammissibile la questione confermando la competenza del collegio giudicante della Terza Sezione penale del tribunale sammaritano presieduto da Giuseppe Meccariello.

Erano state le difese degli imputati a sollevare la questione di competenza territoriale del tribunale sammaritano, ritenendo che fosse il Tribunale aversano di Napoli Nord la naturale destinazione del procedimento e chiedendone il trasferimento, con il presidente del collegio Meccariello che aveva rinviato gli atti alla Cassazione.

Sono 59 gli imputati nel dibattimento, a cui si aggiungono altri 9 che hanno scelto il rito abbreviato, accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione, intestazione fittizia di beni, turbativa d’asta, corruzione, riciclaggio con l’aggravante della metodologia mafiosa, ma anche rivelazione di atti coperti dal segreto delle indagini.

Il processo sulle infiltrazioni dei Casalesi negli appalti è uno dei più importanti per quanto concerne i “colletti bianchi”, ossia quell’area grigia che permette ai clan di arrivare nelle stanze che contano.

Coinvolti ex manager delle Ferrovie, accusati di aver dato appalti alle ditte del clan in cambio di soldi e regali, importanti esponenti del clan dei Casalesi come Dante Apicella, e soprattutto l’imprenditore e colletto bianco Nicola Schiavone, padrino di matrimonio dell’omonimo e primogenito del capo dei Casalesi Francesco “Sandokan” Schiavone, di cui è da sempre amico e ritenuto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli suo socio e prestanome. Per i magistrati antimafia, Nicola Schiavone avrebbe permesso al clan di infiltrarsi negli appalti di Ferrovie dello Stato, e sarebbe cresciuto imprenditorialmente grazie ad un patto stretto con il capoclan.

Ha usato il lievito madre” di Sandokan, è la frase “simbolo” dell’indagine, usata dalla moglie del boss, Giuseppina Nappa, per indicare proprio l’ascesa di Schiavone.

Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Rocco Trombetti, Nicola Bovienzo, Mario Griffo, Pasquale Diana, Arturo Cantiello, Bartolo Guida, Carlo Madonna e Umberto Del Basso de Caro.

Gli imputati sono: Nicola Schiavone, Luigi Schiavone, Vincenzo Schiavone, Bernardo Apicella, Pietro Apicella, Vincenzo Apicella, Luigi Belardo, Pierfrancesco Bellotti, Vincenzo Bove, Vincenzo Chianese, Carmelo Cantiello, Stefania Caldieri, Vincenzo Caldieri, Daniela Coppola, Nicola D’Alessandro, Crescenzo De Vito, Gennaro Diana, Giancarlo Diana, Luigi Diana, Mario Diana, Salvatore Diana, Vincenzo Diana, Mattia Enrico, Mario Falco, Ciro Falco, Francesca Filosa, Mario Filosa, Luca Fontana, Giuseppe Fusco, Paolo Grassi, Massimo Grassi, Leonardo Letizia, Leonardo Loiacono, Angelo Massaro Luigi Palma, Fioravante Palmese, Carlo Pennino, Antonio Petrillo, Claudio Puocci, Giuseppe Russo, Fabio Salzillo, Francesco Salzillo, Fioravante Zara, Matteo D’Alessandro, Giuseppe Febbraio, Caterina Coppola, Matteo Casertano e Luca Caporaso.

Gestione cookie