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Cronaca

Camorra: chi è Francesco Sandokan Schiavone, capoclan dei Casalesi oggi pentito

Casal di Principe. È stato per anni il vertice indiscusso del clan dei Casalesi, organizzazione criminali tra le più potenti d’Italia con radici a Casal di Principe, in provincia di Caserta. Francesco Schiavone, detto Sandokan per una vaga somiglianza con l’attore Kabir Bedi, ha deciso di pentirsi e di collaborare con la giustizia.

Schiavone ha deciso di collaborare con la giustizia a 70 anni e dopo 26 anni di carcere duro, molti dei quali trascorsi in regime di 41 bis, seguendo la strada già intrapresa dai figli Nicola (in carcere dal 2010 e pentito dal 2018) e di Walter (collaboratore di giustizia dal 2021).

La “resa” di Sandokan arriva a 26 anni dal giorno in cui fu catturato nella sua Casal di Principe, in provincia di Caserta, stanato in un bunker dagli agenti della Direzione Investigativa Antimafia di Napoli, guidati dal vicequestore Sergio Sellitto.

La sua collaborazione con la giustizia potrebbe ora permettere di far luce sui misteri ancora irrisolti legati al clan dei Casalesi, a partire dall’omicidio di Antonio Bardellino, fondatore del clan e, si presume, ucciso in Brasile nel 1988 in circostanze mai chiarite, così come sugli intrecci con politica e imprenditoria locale.

La sua carriera criminale inizia prestissimo, a 18 anni il suo primo arresto per detenzione di armi. Negli anni ’80 entra a far parte della “Nuova Famiglia” di Antonio Bardellino e Mario Iovine, in lotta con la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo.

Dopo l’omicidio di Bardellino, ucciso in Brasile nel 1988 in circostanze ancora oggi non chiare, diventa leader incontrastato del clan, avviando l’espansione e l’infiltrazione dei “Casalesi” nel mondo dell’imprenditoria e della politica locale, con forti interessi nel settore del traffico illecito di rifiuti.

Il suo primo arresto da latitante avvenne in Francia, a Nizza, nel 1989, quando Schiavone era già ritenuto ai vertici dei Casalesi insieme a Iovine e Bidognetti. Scarcerato per decorrenza dei termini dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere in attesa dell’estradizione, Sandokan riprese la guida del clan dall’estero.

Tornato in Italia, dopo un’assoluzione scontò un residuo di pena di appena 3 mesi di reclusione nel 1992, prima di scomparire dai radar dopo l’avvio della collaborazione da parte di suo cugino Carmine Schiavone, che si pentì nel 1993.

L’ultimo arresto risale all’11 luglio 1998, giorno in cui finisce la sua latitanza. Schiavone viene sorpreso all’interno di un rifugio nella sua Casal di Principe, in compagnia delle sue due figlie piccole. È tra gli imputati del maxi processo Spartacus, originato dalle indagini della Direzione distrettuale antimafia di Napoli sul clan dei Casalesi e concluso con la condanna all’ergastolo per lui e per altri boss come Francesco Bidognetti e gli allora latitanti Antonio Iovine e Michele Zagaria.

Inizialmente detenuto nel carcere milanese di Opera, è stato successivamente trasferito a L’Aquila. Nel 2018 gli è stato diagnosticato un tumore. Oggi la notizia della sua decisione di collaborare con la giustizia, seguendo la strada già intrapresa dai figli Nicola (in carcere dal 2010, pentito dal 2018) e di Walter (collaboratore di giustizia dal 2021), e diventando così il secondo capoclan dei Casalesi a pentirsi dopo Antonio Iovine detto “o ninno“, che ha iniziato a parlare con i giudici nel 2014.

Si dice che la gravità della malattia fosse un modo per far passare il suo trasferimento inosservato. Far credere all’esterno che Schiavone avesse bisogno di cure particolari tanto da lasciare la sua cella nel carcere di Opera, a Milano, per andare in quello dell’Aquila, dove era stato assistito Matteo Messina Denaro morto per tumore, un espediente, così come confermato da fonti investigative, contattate da AGI, per evitare che la voce del suo pentimento circolasse in fretta in ambienti della camorra.

In realtà, sempre secondo queste fonti, Schiavone è ammalato ma non ha neoplasie; la voce che fosse malato di tumore non è mai stata smentita proprio per tenere più riservato possibile il trasferimento nell’istituto di pena dove già sta parlando con la Dna e la Dda distrettuale.

Alcuni dei suoi stretti familiari, sempre secondo le fonti, sono rimasti spiazzati da questa decisione di collaborare con la giustizia, e alcuni di loro si sarebbero già rifiutati di abbandonare le loro case a Casal di Principe.

Redazione

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