Mondragone. Sotto processo per diffamazione, l’ex boss della camorra casertana Augusto La Torre, in carcere dal 1996, ha ripetuto in aula al giornalista che lo aveva querelato le stesse accuse che lo avevano portato all’incriminazione, in particolare di essere “un pseudo-giornalista”, con l’aggiunta in udienza della parola “pennivendolo“, e di “volere la scorta“. È accaduto all’udienza del processo che si sta celebrando al Tribunale di Ivrea, dove La Torre ha preso la parola dopo che era stato esaminato il giornalista di “Cronache di”, Giuseppe Tallino, colui che ha presentato querela.
Tallino ha risposto alle domande del PM ricostruendo i fatti, avvenuti nel 2018, quando La Torre, in passato capo dell’omonimo clan camorristico operante nel Casertano in particolare nel comune litoraneo di Mondragone, condannato per decine di omicidi tra cui da ultimo la strage di Pescopagano del 1990 (sei persone morte e otto feriti), attaccò durante un’intervista ad un sito web proprio Tallino per un articolo che secondo la Torre non corrispondeva al vero.
Il boss, che in carcere ha preso tre lauree tra cui quella in psicologia – definito per questo “boss psicologo” – in quell’intervista usò parole dure anche verso alcuni magistrati, come l’allora sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli Alessandro D’Alessio (attuale Procuratore Capo a Castrovillari in Calabria), che accusò di volerlo tenere in carcere. Dopo l’intervista, a Tallino non fu assegnata la scorta ma solo la misura della vigilanza dinamica.
Qualche giorno fa in aula, La Torre ha ribadito le stesse accuse fatte al cronista, parlando di “accanimento” nei suoi confronti, di un clan La Torre ormai dissolto, anche se il 17 maggio scorso è stato arrestato il cugino Franceso Tiberio La Torre per estorsione aggravata dal metodo mafioso commessa ai danni del consigliere regionale Giovanni Zannini.
“Questo è tutto l’effetto Saviano – ha detto La Torre – perché Tallino vuole la scorta. Tallino è avventato o mal consigliato” ha aggiunto, riferendosi anche ad altri articoli più recenti. “Ancora oggi Tallino dice che avevo contatti on la criminalità, ma io non ho contatti neppure con mio fratello Antonio (tornato in cella nel marzo per scontare una condanna per truffa, detenzione di armi e bancarotta fraudolenta, ndr) né con mio figlio Francesco Tiberio” (condannato per armi e droga, ndr)
La Torre nel 2003 avviò anche una collaborazione con la Dda di Napoli salvo poi essere in sostanza “scaricato” dall’autorità giudiziaria, che ha definito la sua collaborazione riduttiva, probabilmente perché seppur La Torre si è autoaccusato di una cinquantina di omicidi, non ha mai fornito le indicazioni utili per far trovare il suo tesoro.
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