Santa Maria Capua Vetere. Tutti prescritti i reati a carico degli imprenditori di Sant’Antimo, Aniello e Raffaele Cesaro, fratelli dell’ex parlamentare Luigi Cesaro (la cui posizione fu archiviata su richiesta della Procura anticamorra), per i lavori all’area Pip di Lusciano che, secondo la Dda di Napoli, sarebbero stati aggiudicati nella prima decade degli anni 2000 proprio alle aziende dei fratelli Cesaro grazie all’intervento del clan camorristico Bidognetti di Casal di Principe e di amministratori comunali collusi.
È la prima sezione penale del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presidente Giovanni Caparco, a dichiarare qualche giorno fa il non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti dei fratelli imprenditori e degli altri imputati, tra cui personaggi di rilievo come l’ex consigliere regionale Nicola Ferraro, imprenditore dei rifiuti già condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa perché ritenuto da sempre vicino alle famiglie Schiavone e Bidognetti.
Processo concluso anche per gli ex sindaci di Lusciano Francesco Pirozzi (sindaco fino al giugno 2004) e Isidoro Verolla (primo cittadino fino al novembre 2007), per gli ex assessori e consiglieri comunali Vincenzo Salernitano, Immacolata Verde e Francesco Pezzella, per l’imprenditore Alfonso Santoro, per l’esponente del clan Salvatore Spenuso e Nicola Mottola, marito della Verde.
I fatti riguardano gli appalti dati dal Comune di Lusciano per l’area Pip e per la costruzione di un centro sportivo polivalente, e si basano anche sulla denuncia dell’imprenditore Francesco Emini (difeso da Giovanni Zara), costretto, secondo l’accusa, a rinunciare a partecipare alle gare relative a tali opere dopo l’intervento dell’ex reggente del clan Bidognetti, Luigi Guida (poi divenuto collaboratore di giustizia), che aveva indicato la ditta dei Cesaro, sulla base di presunti patti illeciti, come quella che doveva aggiudicarsi gli appalti. Guida – è emerso dalle indagini Dda – non intervenne direttamente presso Emini, ma lo fece tramite Nicola Ferraro e gli amministratori locali di Lusciano.
Dal costruttore fu così inviato l’esponente del clan Salvatore Spenuso, già incaricato di riscuotere il pizzo presso Emini per la realizzazione di alcuni appartamenti, e l’imprenditore dovette rinunciare, salvo poi denunciare l’estorsione subita. Fatti rilevanti – i reati contestati erano a vario titolo il concorso esterno in camorra, la turbativa d’asta, la concorrenza illecita – ma per i quali è passato troppo tempo, ed è quindi scattata la prescrizione.
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