Caserta (Ferdinando Silvestri). Mentre Caserta discute delle buche diffuse sull’intera rete viaria (beati il sindaco Marino e gli assessori che non le vedono!) e del nuovo stadio Pinto standosene rassegnatamente nell’ombra unitamente alla sua provincia, la cultura che attraversa la città come un fiume in piena passa praticamente inosservata.
Mi piace, dunque, guadare quel “fiume” in compagnia di una donna illustre, casertana d’adozione, siciliana di origine e pronipote del celeberrimo scrittore Luigi Pirandello: la professoressa Adriana Corsaro.
Ex docente di letteratura dell’Alto Casertano; cento (100!) anni compiuti lo scorso giugno; mente fulgida; intuito sagace; saggezza feconda; dialettica pingue e forbita; intelletto ruggente; scrittrice rutilante e pittrice. Questi, in breve, i crismi distintivi della signora Adriana che io preferisco definire più semplicemente “faconda professoressa”.
Non finirò mai di esserle grato per la lusinghiera preferenza accordata ai miei modesti scritti, specie quelli insigniti con cinque riconoscimenti nazionali associati al “Concorso Nazionale Tortorella”, all’Associazione Culturale “A Castagna Ra Critica” di Lagonegro (PZ) e alla Prof Patrizia Del Puente (docente di glottologia presso l’Università degli Studi della Basilicata).
Le riflessioni, i pensieri ed i versi contenuti nel mio libro “Echi, Guadi e Riflessi” presentato con successo dal Giudice Milena Falabella e altri nomi di spicco della cultura lucana a Lagonegro lo scorso maggio accennano ad un diffuso clima di crisi di valori prevalente nella società odierna. Un orientamento disfunzionale che annichilisce l’uomo moderno attraverso forme più o meno “mascherate” di totalitarismo e sbavature pseudo scientifiche capaci di acuire drasticamente contraddizioni e disagi a dispetto di valori e dignità.
Secondo l’anziana docente si tratta di una sorta di “nuovo decadentismo” in cui i profili umani e sociali risultano a dir poco sfigurati e snaturati da un progresso spesso irriverente, fittizio e tantalizzante. E’ quindi condivisibile il pensiero della professoressa Corsaro afferente alla necessità di ricercare la verità attraverso approcci più umani ed intuitivi ed inculcarli negli studenti, anziché addomesticarli attraverso sterili miraggi evolutivi. A volte la tecnologia e l’esasperazione scientifica stillano nell’uomo l’errata consapevolezza di ”custodire la verità ed il potere nelle proprie tasche” abbassando tacitamente gli slanci, l’intraprendenza e la resilienza che egli, invece, mostrava di possedere nel secolo scorso. E’ questo in estrema sintesi il pensiero della professoressa che, a tale proposito, ricorda con commozione il Premio Nobel per la letteratura vinto da suo zio, Pirandello, nel novembre del 1934.
“Si tratta di una massima gratificazione conseguita dopo una lunga serie di studi doviziosi, onerosi impegni e sforzi faticosissimi, che nulla hanno a che spartire con l’apprendimento facile, mellifluo e ludico promosso dalla attuale didattica edonistica. Lo studio deve essere rinunzia, sacrificio e disprezzo per la vita comoda: l’idea che la conoscenza sia un abito confortevole, a buon mercato e a portata di mano è a dire poco devastante per qualunque discente”. Questi, in breve, sono i pensieri giustamente sottolineati dall’ultracentenaria docente con rara ed intensa enfasi emotiva. A fronte di coscienze tendenzialmente letargiche e rinunciatarie, veicolate da dinamiche formative ed istituzionali sempre più incoerenti, sfuggenti, fumide e rarefatte, a parere di chi scrive, occorre prendere atto delle ineluttabili complicazioni relazionali che blandiscono o, quantomeno, rendono meno agevole la facoltà di “indossare la maschera pirandelliana”.
Si tratta di un’intuizione ampiamente condivisa dall’anziana e perspicace docente, la quale evidenzia non solo la maggiore difficoltà ad indossare quella sovrastruttura tanto cara a suo zio, ma anche il maggiore impedimento incontrato dall’uomo moderno nella scelta di identità utili ad interpretare efficacemente il proprio ruolo all’interno della collettività. In effetti, portare una “maschera” può diventare un’impresa assai ardua e farraginosa, specie in contesti di estrema mutevolezza: un dramma che richiama quello del cosiddetto “vestito da fesso”, cucito ad arte dal maestro Eduardo sulla pochezza umana. “E’ assolutamente inimmaginabile prescindere dai fratelli De Filippo, dalla loro indefessa attitudine all’ esplorazione dell’animo umano e dal legame a doppio filo che li ha a lungo riuniti a mio zio Luigi”.
Tra inediti aneddoti, battute sferzanti e foto appena sbiadite dagli anni, non si può fare altro che condividere in religioso silenzio le occhiute osservazioni della professoressa Corsaro, l’avvincente privilegio della sua preziosa amicizia e, ovviamente, un buon bicchierino di marsala appena giunto dalla Sicilia.