Caserta. Nell’avvio sostanziale del governo Meloni – dopo quello della Camera, oggi è previsto il voto di fiducia del Senato – c’è un aspetto delle analisi più o meno dotte di commentatori, osservatori e politologi nazionali e stranieri che abbiamo letto un po sui giornali e un po sui social, e ancor più ascoltate fino alla noia alla TV e alla radio, che mi sembra nient’affatto sottolineato o comunque non in maniera sufficientemente approfondita.
Con la Meloni, infatti, finalmente si compie il salto di qualità della democrazia italiana. Nel senso, cioè, che finora alla guida del Paese c’erano stati governi di #centro-sinistra, addirittura di sinistra-centro (con lo sdoganamento dei comunisti, partito per lunghi lustri finanziato da una potenza straniera anti-democratica e anti-occidentale), ma mai della destra.
Destra e basta, senza trattino (come avrebbe puntualizzato il presidente della Repubblica Francesco Cossiga) e soprattutto senza centro.
Con i governi centristi guidati dalla Dc, infatti, quando rivolti a sinistra, e dunque di centro-sinistra, il territorio politico si estendeva non oltre il Psi, partito riformista, certo, ma di una sinistra non comunista, e di sicura fede atlantista. E quando, invece, i governi erano rivolti a destra, non si andava oltre il perimetro segnato dai conservatori del Partito liberale o del Pri. Giammai e, comunque, mai apertamente della destra vera e propria, rappresentata allora dal MSI e o dal partito monarchico.
Insomma, il nostro è stato – fino ad oggi – un Paese dalla democrazia incompiuta, bloccato non tanto a sinistra (la quale, da Prodi in poi, ha di fatto monopolizzato la scena politica negli ultimi vent’anni), quanto a destra.
Del resto, i governi di Berlusconi, prima, e del primo governo Conte, dopo, erano sostanzialmente governi di centro, ancorati alla guida dei cosiddetti moderati (parola, peraltro, che alla luce dei comportamenti recenti dei leader di FI e Lega mi fa anche un pò sorridere) o, comunque, solo strabicamente rivolti a destra.
Una destra i cui rappresentanti politici non avevano, di fatto, ancora saputo compiere la grande e importante trasformazione che invece la Meloni è stata capace di imprimere al suo partito e complessivamente allo schieramento, trasformandolo per la prima volta e decisamente in partito conservatore.
Con l’abbrivio di questo governo, insomma, la democrazia italiana (al di là del vecchio armamentario di vacue parole d’ordine vetero-comuniste che ancora sopravvivono o affiorano dalle labbra dei più stolti o delle signore di salotti radical-chic) diventa finalmente compiuta o, se preferite, dell’alternanza. O, se preferite, democratica sic e simpliciter.
E sono sicuro – e pronto a scommettere – anche dei due poli e, forse, anche e finalmente del sistema maggioritario e della tanto anelata governabilità del Paese.
Insomma, con il governo Meloni nasce appunto la Seconda Repubblica, non quella finora falsamente ricondotta all’azione dei giudici di Mani pulite (ché quella fu un colpo di Stato, una restaurazione) o dalle perniciose riforme costituzionali avviate da Bassanini fino ad arrivare al cattivo rimaneggiamento del Titolo V della Costituzione.
Una Seconda Repubblica scaturita – e scusate se è poco – da un voto democratico.