Hai un lavoro ma non sei soddisfatto soprattutto per questioni di paga? Il 2025 introduce questa grossa e storica novità INPS: di cosa si tratta
Quante volte abbiamo sentito o forse abbiamo anche pronunciato la seguente frase: “Non amo il mio lavoro, ma non posso lasciarlo”. Una frase che accomuna molte più persone di quanto non possiamo immaginare. Secondo diversi studi recenti, infatti, una percentuale significativa di lavoratori si dichiara insoddisfatta della propria occupazione. Tra i motivi principali emergono il livello della paga, i rapporti con il datore di lavoro e l’ambiente lavorativo in generale.
Ma è soprattutto il discorso stipendio a tener banco, soprattutto considerando la difficoltà nel reperire un lavoro alternativo in caso di uscita e il costo della vita che in maniera silente cresce sempre di più. “La paga è poca, ma almeno c’è”. Quante volte invece abbiamo sentito questa frase? Spesso lo stipendio è visto come una sorta di ancora di salvezza. Anche quando è insufficiente a coprire tutte le spese, resta un elemento imprescindibile per tirare avanti.
Così si crea il paradosso: chi è insoddisfatto spesso non può permettersi di lasciare. La paura di perdere l’unica fonte di reddito porta molte persone a sopportare situazioni che, in condizioni ideali, avrebbero già abbandonato. Questa dinamica crea un circolo vizioso: continuare a lavorare in un ambiente sgradito aumenta lo stress e diminuisce la qualità della vita, ma abbandonare quel lavoro significherebbe affrontare instabilità economica. E così si va avanti, sperando in un cambiamento che spesso non arriva finché non si prende una decisione coraggiosa ma anche estremamente rischiosa.
Questo nuovo 2025 però, da questo punto di vista, offre una carta nuova da giocare. E direttamente attraverso l’aiuto dell’INPS. Non sarà di certo una soluzione definitiva, ma utile per trovare una soluzione intermedia lasciando il posto di lavoro in cui si sta male ma tirando avanti con le tasche piene. Il riferimento è alle nuove regole per avere accesso alla NASPI, ovvero l’assegno di disoccupazione. La misura, concepita per offrire un sostegno economico ai disoccupati, vede una svolta epocale da quest’anno: per la prima volta in assoluto, infatti, i lavoratori che decidono di lasciare volontariamente il proprio impiego possono accedere alla NASPI
Serve una sola condizione: ovvero che maturino almeno 13 settimane di contribuzione in un nuovo rapporto di lavoro successivo alle dimissioni. Questo cambiamento è stato introdotto per supportare proprio chi, pur insoddisfatto del proprio impiego, vuole intraprendere nuove esperienze professionali senza il timore di perdere il diritto a un sostegno economico in caso di difficoltà future.
Tuttavia vi è anche già la contromossa per potenziali furbetti: per avere la NASPI in questa modalitàè essenziale che questi siano legati a un’attività lavorativa effettiva e non risultino da periodi di inattività o interruzioni. L’obiettivo è incentivare la continuità lavorativa e premiare chi si impegna nel reinserirsi rapidamente nel mercato del lavoro, senza permettere che questa nuova legge diventi una zavorra sociale. E così dimissioni implicite o “di fatto”, come quelle derivanti da un’assenza ingiustificata prolungata (definita nei contratti collettivi e solitamente di almeno 16 giorni), continuano a essere penalizzate.
La durata della NASPI è direttamente proporzionale al periodo contributivo maturato: ogni settimana di lavoro dà diritto a mezza settimana di indennità. Il periodo massimo di erogazione è fissato a due anni, cioè 104 settimane.
Ad esempio:
Dopo i primi sei mesi di percezione dell’indennità, l’importo subisce una riduzione graduale del 3% al mese. Questa misura ha l’obiettivo di incentivare i beneficiari a rientrare nel mercato del lavoro il prima possibile, senza però compromettere il sostegno nei primi mesi di disoccupazione, quando il bisogno di stabilità economica è più acuto.
Per quanto riguarda l’importo, la NASPI corrisponde al 75% della retribuzione media mensile, con un meccanismo di aggiustamento per gli importi che superano una soglia stabilita annualmente. Quest’anno, tale soglia è fissata a 1.425,21 euro. Per le retribuzioni che eccedono questa cifra, si applica una riduzione del 25% sulla parte eccedente, garantendo comunque una protezione adeguata anche per i lavoratori con redditi più alti.
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