Caserta (di Antonio Arricale). Le Regioni andrebbero abolite. Punto. Fu un grave errore introdurle in Costituzione, prima; realizzarle con oltre 20 anni di ritardo (1970), poi; ampliarne infine funzioni e poteri con la sciagurata modifica del Titolo V della Carta (2001).
Bisognerebbe prenderne oggettivamente atto ed agire di conseguenza. Ma questo non avverrà mai.
Le Regioni hanno creato, tra le non poche storture, un nuovo ceto politico e burocratico, che difficilmente mollerà l’osso, essendosi equiparato lo status a quello dei parlamentari e dei grand commis dello Stato, da cui peraltro ha mutuato – direbbero i 5Stelle della prima ora – prerogative e privilegi. E soprattutto lo stipendio.
Immaginate come meri strumenti di pianificazione territoriale di area vasta rispetto alle Province, in breve tempo le Regioni si sono trasformate in centri di spesa abnorme. Peraltro, ad un attento esame dell’andamento storico dei conti dello Stato è facile constatare come l’impennata del debito pubblico italiano coincida proprio con l’avvento delle Regioni. Senza dimenticare, inoltre, che con il debito pubblico in progressiva crescita si è anche allargato il divario nord-sud.
Un gap, ora, che rischia di divenire addirittura voragine se dovesse andare in porto il progetto leghista dell’autonomia differenziata, di cui il ministro degli Affari regionali, Roberto Calderoli, è – come si sa – il massimo sacerdote.
Fortunatamente – nel silenzio assordante di quanti per dovere istituzionale pure dovrebbero organizzare un argine a questa pericolosa deriva (e mi riferisco soprattutto ai parlamentari del Sud che finora, sulla questione, in larga parte – grazie anche allo scollamento tra rappresentati ed eletti favorito dalla legge elettorale – hanno semplicemente fatto spallucce o voltato lo sguardo dall’altra parte, che poi è quasi sempre quella dell’accomodamento al desco del potere) – si sono levate anche voci forti e chiare in opposizione al rigurgito del neo-secessionismo strisciante riproposto dalla Lega.
Va dato atto, dunque, al valente collega de Il Mattino, Marco Esposito, che tiene accesa e vigile l’attenzione dell’opinione pubblica su questo tema e, soprattutto, al professore Massimo Villone che si è fatto latore di una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare per dire appunto No all’Autonomia differenziata tanto cara alla maggioranza di governo o, comunque, di porre un argine ai danni che ne scaturirebbero se il progetto leghista andasse in porto nei termini in cui se ne parla.
Va detto – a onore del vero – che contro il tentativo leghista di far rientrare dalla finestra il progetto secessionista della Lega, da ultimo si è levata anche la voce indignata del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Il quale, tuttavia, resta comunque poco credibile, essendosi nel tempo macchiato di almeno due “reati”: 1) nel 2019, in una lettera inviata alla ministra dell’epoca, Erika Stefani, propose di fatto la stessa iniziativa che ora contesta a Calderoli; 2) De Luca è uno degli attori che contribuisce, dal lato delle Regioni, allo sperpero di denaro pubblico.
Ovviamente, in questo ruolo di figliuol prodigo, lo “sceriffo” non è solo: ci sono tutti i presidenti delle Regioni italiane. Nessuna Regione esclusa.
Basta ricordare gli scandali gravi e ricorrenti della Sanità (Milano docet). Un settore – in genere – che assorbe ben oltre il 60% delle risorse assegnate alle Regioni, le quali, al netto del ticket sempre più cari che comunque i cittadini sono tenuti a pagare, difficilmente restituiscono al pubblico un servizio accettabile. Per non dire della malagestione del Covid.