Il Comune di Caserta, i revisori dei conti e la rabbia di Totò

Caserta (di Antonio Arricale). Quis custodiet custodes? Chi sorveglierà i sorveglianti? La questione non è nuova, se già Giovenale si poneva il problema e, prima ancora, anche Platone.

Nelle odierne democrazie si cerca di ovviare a questo dilemma affidando, talvolta, il controllo della gestione alle opposizioni. Più in generale, però, si preferisce un sistema misto, controllato in ogni caso dalla maggioranza, delegando il compito a tecnici esterni. Così, in una terna di nomi – poniamo – due esperti vengono indicati ed eletti dall’esecutivo e almeno uno dall’opposizione. Dubito, però, che la soluzione piacerebbe a Giovenale.

Penso, per esempio, al ruolo – così come ora viene svolto – del Collegio dei revisori dei conti che, almeno nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe vigilare sulle spese allegre dei Comuni, evitando loro di accumulare debiti fuori bilancio. Ruolo ingrato e inutile, alla prova dei fatti, verrebbe da dire.

E non per i commercialisti, spesso di valore, che – tra mille difficoltà ed insidie – pure si sforzano di svolgere senza incidenti il compito. Semmai per il modo in cui i Collegi vengono insediati. E, cioè, attraverso una selezione ed elezione proforma, che maschera il preventivo ed inoppugnabile gradimento dei politici sugli stessi componenti. Per cui il sospetto che questi tecnici siano, infine, più disponibili ad assecondare i desiderata del potere, piuttosto che propensi a censurare le bad practices amministrative, nessuno ce lo toglie dalla testa.

Si prenda, ad esempio, il Comune di Caserta. L’ente locale – ricordiamolo – è finito ripetutamente in dissesto in questi ultimi lustri, schiacciato dal peso di circa cento milioni di euro di debiti: 200 miliardi delle vecchie lire.

Ora, come si sia potuto accumulare un debito così ingente – vigendo l’obbligo della copertura finanziaria sin dal 1990 – è già di per sé un mistero doloroso. E nell’attesa vana di essere svelato, una domanda sorge spontanea: che cosa hanno fatto, in questi anni, i revisori dei conti per arginare la falla? E ancora: se i sorveglianti sono stati distratti, chi ha sorvegliato i sorveglianti?

La risposta, però, rischia di avviare il gioco preferito dai politici italiani: lo scaricabarile. E non è il caso.

Di certo, una verità è questa. I revisori – come detto – non vengono sorteggiati (potrebbe essere un’idea) ma arruolati e retribuiti dalla pubblica amministrazione in ragione della loro vicinanza o affinità più o meno marcata, al politico di turno.

Essi sanno, cioè, in partenza, più che dover rispondere alla legge nel compito di porre un freno alle pazze spese dei Comuni, di dover trovare – alla richiesta dei politici – plausibili escamotage per giustificare le stesse. E siccome comunque rischiano, si sono inventati una scappatoia. Spesso, infatti, le relazioni dei revisori dei Comuni sono infarcite di prescrizioni: “…la spesa trova copertura a condizione che… posto che si recuperi… se dall’evasione… se la riscossione delle tasse locali evase…”. Difficilmente vi leggerete una censura secca.

Così, ne consegue che se, per una ragione o l’altra, tali prescrizioni non trovino effettiva conferma, i revisori mettono comunque le terga al sicuro.

E così pure, ovviamente, gli amministratori di turno, che solo per causa di forza maggiore sono evidentemente venuti a trovarsi nella impossibilità (ma già si sapeva) di dare copertura finanziaria alla spesa, che intanto è stata fatta e non pagata. Con tutto il valzer di contenzioso che ne deriva. Ballo – tarantella, diremmo – che comunque non impedirà né al politico e né al revisore di ripresentarsi e rioccupare lo stesso ruolo.

Ora è capitato – absit iniuria verbis – che in una recente riunione del Consiglio comunale di Caserta per eleggere appunto il Collegio dei revisori dei conti, le opposizioni abbiano denunciato l’assenza della “necessaria segretezza” del voto. Nella sostanza, le schede elettorali sarebbero state vergate sul banco e sotto gli occhi del sindaco.

Vorrà dire qualcosa? Per carità, assolutamente nulla. In estrema sintesi, Totò direbbe: e io pago!

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