Caserta (di Antonio Arricale). A che cosa servono le Camere di commercio? A niente. Dite che esagero? Vabbè, diciamo, allora, che servono a poco. E però le Camcom sono una formidabile centrale di potere. Nel senso pieno dell’etimologia del termine. E forse anche di abuso, dal momento che le due cose spesso camminano insieme.
Lo aveva già intuito, del resto, il fu rottamatore Matteo Renzi, che infatti pensò bene di ridimensionare non tanto la funzione di quest’ente, quanto il ruolo di rappresentanza politica del board che ne è a capo, ma senza purtroppo riuscire ad affondare la lama del coltello fino in fondo.
Sta di fatto che presidente e giunta e consiglio delle Camcom – percepiti, in genere, dall’opinione pubblica non sempre nella sua giusta portata – non godono più dei privilegi di un tempo. Non di tutti, almeno. Nella sostanza di congrui stipendi e lauti gettoni di presenza, oltre che della possibilità di assumere figli, fidanzate, mogli, amanti. Il potere intrinseco dell’ente, però, tutto sommato, resiste. Eccome. Insomma, resta pur sempre assai conveniente restarne a capo, come vedremo.
Prendiamo, ad esempio, la Camera di commercio di Caserta. L’ente di via Roma è presieduto, ma sarebbe meglio dire, governato con pugno fermo, dal 2009, dal signor Tommaso De Simone, 56 anni, sedicente coltivatore diretto di Teano.
E già questa la dice lunga sulle capacità del nostro: contadino scarpe massicce e cervello fino, si dice.
Infatti, quella del mondo agricolo non è certamente la categoria maggiormente rappresentativa, in termini di Pil, di questa provincia che pure è detta Terra di Lavoro. Ma De Simone riesce, da subito, ad incunearsi nella guerra in corso per il controllo dell’ente e a menare la danza. Sul campo di battaglia si fronteggiano, infatti, i rappresentanti della stessa famiglia degli industriali, divisi tra gli esponenti dei manifatturieri (che vorrebbero la presidenza dell’ente) e dei potenti costruttori (che l’hanno già in passato occupata e per niente disposti a mollarla). Sicché, come nel più classico dei finali dell’antico adagio, a spuntarla è infine il terzo incomodo. De Simone, appunto: il quale una volta in sella si è guardato bene dallo scendere da cavallo e, soprattutto, di farsi strattonare. E da qui occupare tutte le poltrone territoriali più in vista della filiera Unioncamere.
E’ evidente, c’è indubbia sagacia politica nel bagaglio del nostro personaggio, che ancorché giovane e scalpitante, si è formato alla scuola democristiana della sua città. Formazione di prim’ordine, aggiungo, se è vero che Teano è ancora patria di esponenti politici nazionali ed europei di indubbio peso. Capacità, insomma, che emerge appena 23enne, e gli permette di assurgere al ruolo di consigliere comunale e capogruppo della DC, partito di stragrande maggioranza assoluta.
Liceo scientifico, studi universitari a Giurisprudenza (non è dato però sapere se mai completati: nell’unico curriculum ritrovato in internet il dettaglio non viene precisato) il giovane De Simone è imprenditore agricolo. Dispone, cioè, di un podere di famiglia di circa dieci ettari coltivato a castano. Dubito, però, che in quel terreno vi abbia mai messo piede, fosse anche per non sporcare le scarpe. Di professione, infatti, Tommaso De Simone è un politico nato. E si destreggia con passo sicuro tra le relazioni partitiche che contano e la vita associativa: la Coldiretti, della quale assume via via la rappresentanza giovanile e, quindi, la leadership provinciale. Coldiretti che costituisce da sempre – non dimentichiamolo – anche un formidabile serbatoio di voti per la DC. Ed è da questo trampolino di lancio che il nostro, poco più che quarantenne, approda alla presidenza della Camera di commercio di Caserta.
Modi gentili, mellifluo quasi curiale, un naturale incedere tra il simulare ed il dissimulare, De Simone si pone – come detto – non solo alla testa della Camera di commercio come garante delle fazioni degli industriali in lotta, ma ne fagocita, in men che non si dica, anche tutte le ambizioni ed aspirazioni inespresse dei singoli.
E alla guida dell’ente resta – senza soluzione di continuità e, senza mai mollare, insomma nemmeno minimamente pensare di dimettersi, e nemmeno di sospendersi (che pure sarebbe suonata come una presa in giro per noi benpensanti) – anche in occasione della recente campagna elettorale, cui partecipa da aspirante senatore, nelle file del PD.
Candidatura che ha dapprima questuato al presidente della Giunta regionale della Campania, Enzo De Luca, e che poi s’è vista assicurare dalla concittadina ex democristiana, ex Margherita, ex parlamentare nazionale PD e ora vice presidente PD del Parlamento europeo, Pina Picierno. Dalla quale, però, in un’enfasi di super-ego di cui spesso il nostro trabocca, pretende ed ottiene che ad offrirgli la candidatura sia il segretario del PD in persona, Enrico Letta.
Capita, però, che non tutte le ciambelle riescano con buco. Nella corsa al Senato raccoglie soltanto poco più del 13% dei voti, meno della metà di quelli conseguiti rispettivamente dai candidati di Fratelli d’Italia, Giovanna Petrenga, e del M5S, Antonio Del Monaco.
Ma, caparbio, De Simone non si lascia avvilire. E a scrutinio ancora caldo, incurante del magro risultato elettorale, lo si vede già seduto nella stanza dei bottoni della Camera di commercio, in via Roma, da dove controlla, con decisa autorità e ferreo centralismo, la macchina burocratica interna, fino ad arrivare a terrorizzare i dipendenti – soprattutto quelli che non lo hanno votato, dicono malevoli le voci di dentro – e da dove torna a guardarsi in giro, in cerca ovviamente di nuove poltrone da occupare.
Il tutto, ovviamente, nell’indifferenza o distrazione generale delle élite politiche, imprenditoriali e professionali locali e delle opposizioni, che fingono di non vedere. E, magari, saranno effettivamente orbe.
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