Caserta (di Antonio Arricale). Inventato dal compianto ministro Roberto Maroni per battere ecomafie e camorra di Terra di Lavoro, il “Modello Caserta” da alcune settimane fa da sfondo allo scandalo del tesseramento del PD in vista del congresso nazionale. Scandalo – ché di questo si tratta – amplificato oltre ogni dire dalle polemiche che in genere si fanno anche più aspre, tra le mille voci precongressuali che si levano dall’interno dello stesso partito.
La più autorevole, di Susanna Camusso, milanese DOC, ex segretaria nazionale della CGIL ed ora senatrice democrat, eletta, giusto per notare, in Campania. La quale, ovviamente, tira per la mozione di Elly Schlein unitamente al deputato pugliese Francesco Boccia, già ministro e responsabile degli enti locali PD, nativo di Bisceglie e consorte dell’ex deputata di Forza Italia e ora showgirl, Nunzia De Girolamo.
Ma di queste annotazioni i lettori ne avranno già piene le tasche. E, però, per i pochi che si fossero distratti, provo a sintetizzare l’antefatto.
In vista del congresso, a Sessa Aurunca, comune del casertano di 21 mila anime e roccaforte del presidente del Consiglio regionale della Campania, l’ex socialista Gennaro Oliviero, il PD ha tesserato 1.050 elettori. Praticamente tutti quelli che hanno votato per il partito di Letta alle ultime politiche (1.360) qualche mese fa. Oliviero sostiene, invece, la mozione di Stefano Bonaccini.
Sono molte, le tessere? Poche? Giudicate voi. Per farvi un’idea, basti sapere che nel circolo torinese di Mirafiori Sud, come dire, il cuore operaio del Paese, il PD ha appena 51 iscritti e, di questi, solo in 24 hanno votato al congresso.
Direte: che c’entra, il PD è da tempo, ormai, che non rappresenta più la classe operaia, ma quello che resta della borghesia – peraltro un po’ radicale e tanto chic – in Italia. E sia. E, tuttavia, di tante Mirafiori è ancora costellato gran parte dell’universo di quello che resta dell’ex PCI. Non si può non tenerne conto.
Il punto di tutta questa brutta storia, però, secondo me, non è tanto la compravendita delle tessere, quanto il quadro della vicenda in sé e il retroterra dei protagonisti in campo. Perché un aspetto è chiaro: c’è qualcuno, singolo o organizzato in gruppo, che – per inconfessato interesse personale, non semplice cortesia al potente di turno e al mero scopo di conservargli posizione e potere – mette mano al portafogli e, alla bisogna, fa incetta di tessere. Neanche si trattasse di una scalata societaria. Una prassi che, direttamente o indirettamente, non avviene solo nel PD, ma in tutti i partiti, dove addirittura il meccanismo – e cioè, tirando fuori fior di quattrini – si è esteso al punto di comprare finanche una candidatura, a tutti i livelli. E non guardate soltanto in casa Berlusconi, ma è esattamente – mutatis mutandis – ciò che avviene in tutti i partiti!
Un mercimonio, peraltro, reso ancora più insopportabile da una scandalosa legge elettorale, mediante la quale, a decidere tutto – chi, in quale listino e in quale collegio? – è appunto il “cerchio magico” dei partiti, un vertice scaturito, nella migliore delle ipotesi, o dal commercio delle tessere, oppure da un oscuro processo di plutocratica partenogenesi. Tutto, insomma, fuorché da un processo democratico, basato su una legge dello Stato che ne regoli appunto vita e meccanismi di partecipazione.
Più di ogni altro aspetto, che comunque trovo riprovevole, mi fa specie allora che a denunciare il tutto fino a chiedere l’annullamento del congresso sia, paradossalmente, una sindacalista che per anni è cresciuta all’ombra dell’inapplicato articolo 39 della Costituzione: “Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme stabilite dalla legge”. Legge mai fatta e che – ritengo – mai come ora andrebbe estesa anche ai partiti politici.
Ammoniva, infatti, Piero Calamandrei: “Una democrazia non può essere tale se non sono democratici anche i partiti”. Al di là del nome.
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