Caserta (di Antonio Arricale). È un mistero doloroso continuo la mancanza o la perdita del lavoro in provincia di Caserta. Ora ci sono anche i 12 lavoratori del Big Maxicinema di Marcianise nell’elenco degli uomini, dei padri di famiglia, delle persone privati del lavoro, anzi, della dignità umana, come dice papa Bergoglio. Seguono nella stessa triste sorte, i 190 della Jabil che, almeno per numero e protezione sindacale, fanno più rumore. Ma del cui destino, purtroppo, prevedo il peggio.
Temo, infatti, che la recita della posta della corona di questo rosario, con questi lavoratori non sarà l’ultima. Altre ne seguiranno. È questione di settimane, di giorni, di ore: a dispetto della crescita economica nazionale decantata dai media. Crescita che lascia stupiti mezz’Europa. E noi per primi.
L’emorragia dei posti di lavoro, infatti, è l’altra ignorata faccia dell’emergenza che vive la provincia di Caserta.
Qui, per quarant’anni e passa, i riflettori sono stati accesi esclusivamente sull’emergenza criminale. Ancora l’altro ieri, per dire, le campane di giornali e televisioni nazionali sono risuonate a festa per l’abbattimento, dopo un iter processuale scandalosamente lungo, della villa bunker di Michele Zagaria, il boss dei boss della camorra.
Nessuno si ricorda, invece – non nella giusta dimensione, almeno, benché si tratti dell’altra faccia della stessa medaglia – del dramma-lavoro che affligge, appunto, i cittadini casertani. Nemmeno nel PD, dove il tema congressuale del giorno è il tesseramento “falsificato”, non certo il lavoro.
Constato, insomma – sebbene il dato non fosse nuovo a quanti sanno leggere le statistiche – che la denuncia di qualche giorno fa del segretario generale della Fiom Campania, Nicola Ricci, sia rimasta lettera morta o, comunque, semplicemente indifferente ai più, pur contenendo polvere per una deflagrante bomba economico-sociale: “In provincia di Caserta – ha detto – negli ultimi vent’anni, su 100 mila addetti sono andati persi circa l’85% di questi posti di lavoro”. Tradotto: 85 mila posti di lavoro andati in fumo, senza che altri ne siano stati creati. Una situazione drammatica che assegna – è evidente – a quello che una volta si chiamava ministero dell’Industria o dello Sviluppo economico o non so che; a Regione Campania, il cui presidente si fa chiamare governatore quando non “sceriffo”; e ai sindacati datoriali, Confindustria, in testa, tutti adusi a guardare più al consenso immediato e alle quote associative piuttosto che alla bontà dei piani industriali, precise ed enormi responsabilità.
Si preferisce, invece, porre l’accento – additandolo come scandalo – sul fatto che a Caserta e provincia un cittadino ogni otto in età lavorativa viva grazie al “Reddito di Cittadinanza”. E ne convengo: è davvero scandaloso.
Ma vorrei vederli, lorsignori che guadagnano dieci, undici volte in più di un insegnante o di un metalmeccanico semplicemente per sedere sugli scranni del Parlamento o della Regione; e vedere Roberto Benigni, che per 15 minuti di pura retorica a Sanremo guadagna cifre inconfessabili (l’ultima volta, nel 2020, avrebbe preso 300 mila euro); e vorrei vedere gli amministratori di enti politici o strumentali territoriali che incassano cifre sproporzionate rispetto all’impegno che mettono nel ruolo di amministratori, vivere del solo “Reddito di Cittadinanza”, essendo rimasti disoccupati!
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”, recita l’articolo 4 della Costituzione più bella del mondo.
Bella, tuttavia, per essere recitata da un comico a Sanremo, per emozionare il presidente della Repubblica, per essere usata come una clava contro chi non canta Bella ciao, ma non per essere letta e amata nelle case dei disoccupati o che hanno perso il lavoro senza la speranza, anzi, il diritto di averne un altro.