Caserta (di Antonio Arricale). Turismo e attività produttivo-commerciali sono, dal punto di vista dell’indotto economico, due facce della stessa medaglia. Anzi, complementari, seppure di peso specifico differente. Nel senso che, posto l’esistenza di un “attrattore” – come oggi si usa dire – indipendentemente dal valore storico-monumentale-paesaggistico intrinseco, da solo esso non è in grado di convogliare ed alimentare flussi consistenti di visitatori se, al contempo, l’area antropica nella quale è calato non offre servizi adeguati di accoglienza (trasporti, parcheggi, ristorazione, svago, sicurezza, eccetera).
Invero, la proposizione vale anche formulata al contrario. Sicché, in presenza di un modesto sito turistico è invece proprio la ricca offerta dei servizi complementari a far da traino al primo. Insomma, il turismo è fatto soprattutto di servizi, anzi, direi di un pretesto logico.
Insomma, senza menarla per le lunghe, avrete capito che, parlando di turismo e di Caserta, non sono certamente gli attrattori di pregio che qui difettano – e che pregio, verrebbe da dire! – semmai, la parte complementare. E non solo.
Due esempi su tutti: il Palazzo Reale settecentesco più grande e bello del mondo e il Complesso monumentale della Colonia serica di San Leucio.
Quest’ultima, in particolare – giusto per notare – partorita dalla mente di un sovrano della dinastia borbonica, ritenuta (a torto) dalla storiografia ufficiale tra le più reazionarie del periodo dell’assolutismo monarchico – rappresenta il primo, unico e concreto esperimento di città organizzata di uomini uguali, una sorta di città ideale, se non proprio di Utopia, realizzato in epoca moderna. Ben al di là del valore specifico di insediamento preindustriale, che pure non è secondario. Inutile aggiungere, poi, che – comunque la si guardi – la cittadella di San Leucio sta alla Reggia come la luna al sole.
Eppure, con riferimento al binomio di cui sopra, è proprio questo il tipico esempio del turismo che non funziona. Dal punto di vista dell’indotto economico, infatti, pur essendo la Reggia di Caserta tra i dieci monumenti più visitati in Italia, dell’enorme numero di persone che annualmente vi arrivano, alla città resta poco o nulla. A San Leucio, poi, solo nulla.
Manca, insomma, e da tempo se ne lamenta l’assenza, un progetto turistico organico, per non dire sinergico tra i due monumenti e la città o, meglio ancora, con con tutto il resto: Caserta Vecchia, i ponti della Valle, la reggia di Carditello, l’anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere, il Museo di Capua…
Ma c’è di più ed anche più grave. Alla mancata pianificazione politico-programmatica del settore assai spesso si somma anche l’accidiosa e ottusa – quando non collusa, evidentemente, ma non è questo il caso – resistenza del potere burocratico-amministrativo che frena slancio e iniziativa privata. Mi spiego.
È di questi giorni il caso del “Setificio” (vedi articolo a parte). Una discoteca, con parcheggio annesso, ricavata in una porzione dell’ex sito industriale serico De Negri, peraltro fuori mano rispetto al complesso monumentale, proprio a San Leucio. Struttura che la nuova proprietà – in ossequio, appunto, alla vocazione turistica dell’area – ha recuperato e riqualificato in centro polifunzionale, regolarmente autorizzato dall’ufficio preposto del Comune. (E vi risparmio l’inenarrabile iter burocratico fatto di permessi, autorizzazioni, sopralluoghi, controlli, palleggiati di enti diversi che gli imprenditori, in questo caso, sono costretti a subire).
Capita, dunque, che un altro ufficio della medesima amministrazione, a distanza di qualche mese, leggendo o magari male interpretando, se non ignorando le carte precedenti, dichiari non a norma e interdica al pubblico la discoteca. Della serie, la mano destra non sa quello che fa la mano sinistra. Adìto, però, il Tribunale amministrativo – nelle more di un contenzioso che rischia di diventare infinito – intanto dà ragione al privato e redarguisce pesantemente l’amministrazione comunale. La discoteca deve riaprire. Bene. Anzi, male.
L’effetto, infatti, che deriva da questa vicenda è quello di scoraggiare ulteriori e analoghe iniziative di riqualificazione dell’area, e di ampliamento dell’offerta di servizi di attrazione turistica. Riqualificazione, peraltro, che la proprietà – sempre il Comune di Caserta – puntualmente disattende, lasciando colpevolmente avanzare incuria e degrado e gestendo il complesso monumentale alla stregua di una anonima piazza di paese. Ospitando, cioè, al suo interno e in assenza di una cornice ordinata di sottoservizi, talvolta concertini di pessimo gusto; talaltra, invece, addirittura concerti rock di imprevedibile impatto. E magari nello stesso giorno in cui da tempo immemore il centro è attraversato dal corteo storico rievocativo della memoria storica e produttiva del luogo. È il caso dei Jethro Tull il prossimo primo luglio.
E qui, scusatemi, non è più questione di una mano che non sa dell’altra, ma del cervello che non proprio ci sta.