Caserta (di Antonio Arricale). Secondo voi, i giovani della Generazione Z sanno chi è Nicola Cosentino? I nati, cioè, a cavallo del secondo millennio sono informati del ruolo pubblico da questi svolto e, più ancora, delle vicende giudiziarie che lo hanno travolto?
La domanda, ovviamente, è retorica. Eppure, stiamo parlando di un politico casertano che ha segnato da assoluto protagonista la storia di Terra di Lavoro degli ultimi quarant’anni.
In breve. Erede e titolare con i fratelli di alcune aziende di carburanti, Cosentino inizia a calcare la scena politica giovanissimo. Ancora studente universitario (è laureato in Giurisprudenza) è consigliere comunale nel suo paese (Casal di Principe), quindi consigliere e assessore provinciale, poi consigliere regionale e coordinatore campano di Forza Italia, quattro volte parlamentare e, infine, nel 2008 sottosegretario all’Economia e alle Finanza nel quarto Governo Berlusconi.
Da questo momento, però – con l’inevitabile parabola che passa dal “servo encomio” al “codardo oltraggio” – la sua brillante carriera politica si interrompe bruscamente e comincia, invece, un’altrettanta lunga e penosa odissea giudiziaria. Fino a subire l’onta del carcere. È accusato, infatti, di coinvolgimento in affari di camorra (concorso esterno) e di gestione illegale dei rifiuti, di protagonismo in complicati intrighi politico-massonici e di altro ancora.
Accuse per le quali incassa due condanne. Ma anche altrettanto e definitive assoluzioni. L’ultima delle quali, denominata dai magistrati inquirenti “Il Principe e la ballerina”, è di qualche giorno fa e segue una precedente di qualche mese prima. Sentenza – osservo – che, al di là del ruolo e della notorietà del personaggio e delle simpatie politiche di ciascuno di noi, arriva dopo circa vent’anni (i fatti risalgono al 2006). Il tempo, appunto, di una generazione.
D’accordo, le due sentenze di assoluzione non azzerano la situazione giudiziaria di Cosentino, dal momento che pendono sul suo capo e sono in via di definizione altre vicende, per le quali gli auguriamo, ovviamente, uguale fortuna. Ma non è questo il punto.
Il suo caso – certo analogo a quello di molti altri sventurati, magari meno noti e forse anche meno abbienti, finiti nelle maglie della giustizia (perché anche il denaro fa la differenza, in questi casi, a dispetto dello slogan che ci vuole tutti “liberi e uguali” di fronte alla legge) – è comunque emblematico per reiterare una domanda semplice-semplice, magari già posta da altri e più autorevoli commentatori e filosofi del diritto: che giustizia è mai questa, se arriva dopo vent’anni?
Perché un fatto è certo, come ha scritto Pietro Di Muccio De Quattro, raffinato giurista di Vairano Patenora, sul Dubbio, qualche mese fa: al di là dell’assoluzione, infatti, “una giustizia lenta è di per sé un’ingiustizia”. Aggiungendo sicuro: “(…) i custodi della legge sono gli unici irresponsabili della lentezza con la quale l’applicano”. Ed è, purtroppo, così non da ieri, ma da almeno un secolo, a rileggere alcuni scritti di Piero Calamandrei. E il tutto in barba ai referendum sul tema e alle infinite campagne di civiltà per una “giustizia giusta” promossi negli anni.
Detta, però, così – ripeto, da profano della materia – il problema resta irrisolto. A meno che non si pensi, sulla scorta di pochi ma inequivocabili dati, di affrontare l’argomento impugnando il rasoio di Occam.
Ecco i dati:
Insomma, se un’inefficienza – tra le molte – si registra nella macchina giudiziaria, questa attiene innanzitutto alla fase delle inchieste, vale a dire, all’attività delle procure e dei pubblici ministeri. Ed è qui che bisognerebbe intervenire. Ma non mi pare che sia stato fatto, nemmeno con la riforma Cartabia. Tanto più alla luce delle pesanti accuse a “Il Sistema” e alle “Lobby e Logge” lanciate dall’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, nei libri-interviste scritti con Alessandro Sallustri. Accuse che, anzi, sono state semplicemente ignorate dal “mainstream”.
Peccato. Conforta, in ogni caso, il fatto che Cosentino e molti altri sventurati con lui, alla fine un giudice, se non a Berlino, a Roma lo hanno comunque trovato. E meno male.
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