Caserta (di Antonio Arricale) – Il Belpaese anche quest’anno crescerà oltre le stime. Nel 2022 – giusto per ricordarlo – la crescita è stata del 3,7%. Per l’anno in corso il governo ha “bollinato” uno scenario tendenziale con il Pil a +1% – dunque, ben oltre lo 0,3% previsto dall’Ue e dello 0,7% previsto dal Fmi – e il deficit al 4,5%.
Il dato è confortante se preso singolarmente (anche se ben lontano dai tempi in cui l’Italia sedeva a ben diritto tra i Grandi), ma ovviamente cambia di prospettiva se inquadrato in una cornice complessiva, in cui si tengano conto anche le dinamiche demografiche e politico-sociali della popolazione.
Relativamente a questi ultimi aspetti, infatti, le cose vanno tutt’altro che bene. Il dato più aggiornato (anche se provvisorio, precisa l’Istat) sulla popolazione residente parla di 58 milioni e 851 mila unità. Cifra che, in termini assoluti, è registrata come un calo di 179 mila persone rispetto al 2022.
Non solo. A dipingere a tinte fosche il futuro del Paese c’è anche il dato sulla natalità che sempre l’Istat, nello scorso anno, registra al minimo storico, vale a dire, al di sotto delle 400 mila nascite. E a cui fa contrappunto, nemmeno a ricordarlo, una mortalità ancora più elevata.
Insomma, si nasce di meno e si muore di più. Precisamente, si registrano meno di 7 neonati e più di 12 decessi per ogni mille abitanti.
Ridotto in estrema sintesi, il quadro relativo alla natalità-mortalità italiana potremmo anche rappresentarlo così: il numero medio dei figli per donna è di 1,24; la speranza di vita di ogni bambino, alla nascita, è di 82,6 anni; al primo gennaio 2023 gli ultracentenari sono ben 22 mila.
Ne consegue che non solo si nasce di meno, ma si invecchia anche di più. Il che equivale a dire che l’Italia, di questo passo, è condannata all’estinzione. E nemmeno in troppi anni, diciamo un secolo.
Relativamente all’aspetto della vecchiaia, peraltro – come i nostri lettori ricorderanno di aver già letto su questo giornale – la nostra città (e provincia) non solo rispecchia in pieno quest’andamento, ma addirittura lo esaspera. Se, infatti, nel Belpaese l’età media è di 41,6 anni, a Caserta è di 46,2 anni. Inoltre, la città vanvitelliana non soltanto registra una diminuzione della popolazione negli ultimi tre anni (73 mila 037 abitanti, quest’anno; 73 mila 984 nel 2020), ma segna anche un indice di vecchiaia del 200,7% rispetto al 192,5% dell’anno scorso e, addirittura, al 90,6% di dieci anni fa.
C’è, inoltre – tornando al quadro complessivo – un altro aspetto da tenere in conto, che peraltro è direttamente legato all’attrattività del territorio e, dunque, all’offerta di lavoro (occupazione) e dei servizi (benessere). Aspetto che l’Istat registra indirettamente come “movimenti migratori interni” e che sono, appunto, in crescita. Infatti, i trasferimenti di residenza tra comuni sono un milione e 484 mila, vale a dire: +4% rispetto al 2021, +10% rispetto al 2020. Movimenti che sono molto evidenti dalle aree interne verso le città e, nuovamente, dal sud verso il nord.
Infine, altri due dati per completare il quadro di insieme non proprio brillante che emerge incrociando qua e là i dati statistici.
Il primo riguarda la crescita del numero degli stranieri, che al primo gennaio 2023 è di 5 milioni e 50mila unità, in aumento di 20mila individui (+3,9 per mille) sull’anno precedente.
Il secondo – per ultimo, ma non per questo ultimo, anzi – è invece relativo al reddito di cittadinanza che, come è stato già ripetutamente detto e scritto, viene incassato per poco più di un terzo nel Sud Italia (33,7%) e, dunque, contrariamente alla vulgata, alla fine è equamente distribuito sul territorio nazionale. Ma con un aspetto tutt’altro che irrilevante e, soprattutto, poco approfondito, come ha certificato recentemente l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp). Introdotto con l’obiettivo principale di contrastare la povertà nel nostro Paese, infatti, pochi sanno che il 60% dei beneficiari delle misure di sostegno al reddito sono donne. Proprio così. Donne sui 49 anni, caratterizzate da un livello di istruzione tendenzialmente basso e poco qualificate dal punto di vista professionale (78%).
Aspetto, quest’ultimo, che unito a quello sulla “natalità zero”, indurrebbe a tentare di fare un ragionamento più ardito e, probabilmente, anche più efficace ai fini del rischio estinzione paventato. Si potrebbero, insomma, utilizzare le risorse del reddito di cittadinanza, con opportune integrazioni (e revisione di quei rivoli che spesso si contrabbandano per misure a favore della famiglia, ma che alla prova dei fatti si sono dimostrati di nessun aiuto) per introdurre invece uno stipendio alle casalinghe. Il dibattito è aperto.