Comuni al voto, stabilità vo cercando

Caserta (di Antonio Arricale). Nei comuni dove si voterà, il 14 e 15 maggio prossimi, la campagna elettorale è appena cominciata, ma è già incandescente. Il test, però, di per sé non è significativo. Complessivamente, infatti, in tutt’Italia il voto interesserà appena il 10% degli enti locali (790 su 7.901).

In provincia di Caserta la percentuale è leggermente superiore (14%), anche se soltanto cinque sono i comuni in cui si vota col doppio turno: Lusciano (new entry nella lista, avendo superato la soglia dei 15 mila abitanti soltanto recentemente, col censimento 2021), Maddaloni, Marcianise, Orta di Atella e San Felice a Cancello.

E di questi ultimi quattro, solo Maddaloni rinnova sindaco e consiglio comunale alla scadenza naturale del mandato. Gli altri votano “per motivi diversi”. Vale a dire: o per scioglimento anticipato causato da instabilità del quadro politico (è il caso di Marcianise dove, peraltro, negli ultimi dodici anni, è la quinta volta di seguito che una consiliatura non venga portata a termine); o per ingerenze o condizionamenti camorristiche (Orta di Atella e San Felice a Cancello).

Benché statisticamente irrilevante, il quadro casertano si presta, tuttavia, a più di una riflessione.

Per cominciare, sembrano decisamente troppi 1.430 candidati per appena 204 seggi da consigliere. Mediamente, poco più di sette candidati per ogni scranno in Consiglio comunale. Ma non lasciatevi ingannare: a Marcianise, dove i candidati complessivamente sono 337 per appena 24 posti da consigliere, per un posto di consigliere concorrono 14 aspiranti. A Maddaloni qualcuno in meno. E non ditemi che si tratta di partecipazione.

Va decisamente meglio per i candidati a sindaco, dove per 14 fasce tricolori (Antonino Santillo è rimasto da solo in gara, dunque già eletto, dopo che all’ultimo minuto e del tutto inaspettatamente, il concorrente Vincenzo Gaudino ha ritirato la candidatura) se ne contano 38.

Resta, poi, il nodo della precarietà del quadro amministrativo che, indipendentemente dalle già accennate cause, è una connotazione specifica dei grandi comuni e si accompagna in genere ad un basso livello qualitativo del personale politico. Insomma, nei comuni piccoli (meno di 15 mila abitanti) in cui si vota col sistema maggioritario, e dove per altro gli interessi economico-politici sono meno scatenanti di appetiti più o meno leciti da parte dei gruppi di potere locali, il fenomeno è praticamente inesistente, in ogni caso attutito. (Anche se desta perplessità il caso di Letino, comune dell’Alto Casertano, dove su 934 elettori, di cui 303 residenti all’estero, oltre ai due candidati storici alla carica di sindaco, si contrappongono altri 5 aspiranti sostenuti da altrettante liste ovviamente farlocche, essendo costituite da dipendenti delle forze dell’ordine estranei al territorio, organizzate unicamente per beneficiare di 30 giorni di ferie retribuite extra).

Al netto, dunque, delle caratteristiche demografiche e, forse, anche umane (nei piccoli centri ci si conosce praticamente tutti) è nel sistema elettorale che si annida il virus della precarietà e dell’instabilità del quadro politico amministrativo? La domanda non è peregrina.

Prendiamo ad esempio, appunto, i comuni citati. Qui è già da qualche mese, ormai, che in vista della scadenza elettorale, i candidati alla carica di sindaco (tutti espressione di liste civiche, nessuno dei partiti) si sono mossi per arruolare candidati al fine di organizzare quante più liste di appoggio. Liste spesso costituite da candidati che prenderanno zero voti, che non voteranno – chissà perché? – nemmeno per sé stessi.

E già questo aspetto a me sembra una doppia anomalia: perché in un sistema che prevede il ballottaggio, è al secondo turno, sul rapporto di forza emerso dalle urne e sui contenuti programmatici, che si dovrebbe costruire una coalizione amministrativa, non prima. E, soprattutto, non su inconfessabili interessi di bottega che spesso si nascondono dietro la proliferazione di liste. Senza contare, poi, che è, in tutta evidenza, assolutamente dispari (direi antidemocratico) che in una competizione elettorale le condizioni di partenza non siano eguali per tutti gli aspiranti alla fascia tricolore. E che vi siano, pertanto, aspiranti sostenuti da troppe (e forse già inquinate) liste e altri, invece, da poche se non una soltanto. E, magari, anche incompleta. Insomma, ci sono aspiranti sindaci – per dirla con il linguaggio dell’ippica – costretti a correre con l’handicap.

Inutile aggiungere che, in un sistema sano e positivamente competitivo, dovrebbero essere i partiti a preoccuparsi di offrire la migliore proposta politica – assumendosene la responsabilità – e dunque candidando i migliori e più preparati militanti o esponenti della società cosiddetta civile. Non, invece, i potentati economici o, addirittura, i don Rodrigo di turno.

Un tempo era così e non era male.

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