Caserta (di Antonio Arricale). Lunedì si celebra la Festa del Lavoro, ma ancora una volta – come capita, ormai, da troppi anni – c’è poco da festeggiare. Soprattutto dalle nostre parti.
Lo ha capito bene il Vescovo di Caserta, mons. Pietro Lagnese, che stanco di assistere al solito rituale fatto di cortei, bandiere scolorite e discorsi di circostanza, e per non starsene con le mani in mano, ha pensato bene di fare appello direttamente al Creatore.
Il Primo Maggio, infatti, Lagnese dirà messa a San Giuliano, in quel di Marcianise – essendogli stata preclusa la possibilità di celebrare nel piazzale della fabbrica – per intercedere la grazia del buon Dio sugli operai della Jabil, affinché conservino il lavoro, dal momento che a fine maggio, in mancanza di buone nuove, rischiano di restare disoccupati.
Quello della Jabil – ben 190 lavoratori a rischio su un organico di 450 dipendenti – è però soltanto la punta di un iceberg. I focolai di crisi, in provincia di Caserta, sono molto più gravi e diffusi di quanto si possa pensare. “E richiedono interventi immediati e non più procrastinabili da parte del ministero – commenta Nicodemo Lanzetta, segretario provinciale della Fim Cisl –. La situazione, già oggi insostenibile, rischia di diventare esplosiva”.
Questa, dunque, la mappa dettagliata della crisi. Partendo proprio da Jabil.
Alla situazione attuale della multinazionale statunitense bisogna, infatti, sommare anche quella legata alla prima emorragia dell’azienda casertana. Risalire, insomma, al tempo in cui un primo gruppo di 250 operai fu licenziato e messo in groppa al gruppo Softlab, azienda leccese con sede a Roma che, però, come fabbrica stenta finanche a partire. E a cui va aggiunto quell’altro gruppetto di 23 operai che fu dirottato verso l’azienda sarda Orefice, e che intanto è stato licenziato ed è sempre in attesa – si spera – di una nuova e più fortunata collocazione.
Ci sono, poi, gli oltre cento operai che dalla Whirlpool (ramo casertano), sono stati portati in dote (si fa per dire) al Gruppo Seri, guidato dall’ingegnere Vittorio Civitillo, di San Potito Sannitico. Una fabbrica che dovrebbe costruire batterie al litio a basso impatto ambientale, i cui operai, però, attualmente sono in cassa integrazione.
Così come ampio ricorso alla CIG attualmente stanno facendo un’altra settantina di dipendenti della Ecobat, azienda guidata dall’ex presidente di Confindustria Caserta, Luciano Morelli, campione di ristrutturazioni aziendali o – se preferite – un “tagliatore di teste”, come egli stesso, con spropositato e cinico ego, si autodefinì, nel pieno della gestione della crisi che investì, qualche anno fa, la stessa associazione datoriale di via Roma, a Caserta.
Né finisce qui. Un futuro nebuloso aleggia anche su tutto l’indotto dell’automotive e che fino a ieri costituiva un’autentica eccellenza dell’industria manifatturiera casertana. E si tratta, dunque, di un altro migliaio di lavoratori che giornalmente varcano con sempre maggiore apprensione i cancelli di Stirte, Pcga, Proma, Snop. E, da ultima, l’azienda indiana Titagarh Firema spa, l’ex Firema Trasporti spa, ora presieduta da Gianluigi Traettino, numero uno di Confindustria Campania, che ha in cassa integrazione altri 320 dipendenti.
Per non dire, infine, della miriade di piccole e medie imprese che vengono giornalmente monitorate con sempre maggiore apprensione dalle centrali del sindacato – molto meno della politica – alla luce delle crescenti sofferenze insorte con l’aumento dei prezzi delle materie prime e, in particolare, dell’energia.
E, però, se Atene piange, Sparta non ride. A questo quadro non proprio sereno fa da contrappunto anche il dato sempre desolante del tasso di disoccupazione, che in provincia di Caserta è poco sotto il 15% ed è praticamente il doppio della media nazionale (8%). Disoccupazione, peraltro, che interessa particolarmente i giovani e che, sempre qui, rappresentano quasi la metà della popolazione in età lavorativa.
Insomma, c’è poco da festeggiare, come si è detto. A meno di un miracolo.
Miracolo che per intanto non è – o non può essere, almeno – il solo taglio del cuneo fiscale che il governo si appresta a fare simbolicamente, appunto lunedì, nel giorno della Festa del lavoro.
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