Caserta (di Antonio Arricale) – Occhi aperti sul Policlinico di Caserta. La costruenda struttura universitaria questa volta è finita nei giochi di potere della grande finanza. E, ovviamente, non ci è dato sapere, al momento, se questo è un bene o un male al fine del completamento dell’opera, i cui lavori si trascinano stancamente da oltre un ventennio. E, quel che è peggio, nella colpevole inettitudine se non addirittura indifferenza della classe politica locale.
Sta di fatto che il Policlinico, sulla scacchiera di una complessa partita politico-finanziario, viene di volta in volta utilizzata come pedina di un appetitoso Risiko, che soltanto marginalmente interessa Caserta. E che stavolta punta dritto dritto alla possibilità di mettere le mani sulla grande torta rappresentata del Ponte sullo Stretto di Messina.
Che c’entra il Ponte, direte? C’entra, eccome: proviamo a mettere in fila i fatti.
All’inizio di aprile l’agenzia di stampa di Confindustria, Radiocor, dà la notizia del passaggio di mano del ramo d’azienda “core” di Condotte (con un portafogli di commesse con lavori a finire per un valore di 1,2 miliardi tra i quali la città della salute di Sesto San Giovanni e, appunto, il Policlinico di Caserta) al gruppo immobiliare Sorgente, che fa capo all’imprenditore ed editore del Foglio, Valter Mainetti.
Bisogna sapere, intanto, che la Società Italiana per Condotte d’acqua Spa – un tempo, terza nella classifica delle imprese di grandi costruzioni – è dal 2018 in amministrazione straordinaria, a seguito di una crisi di liquidità: è indebitata per quasi 2 miliardi nei confronti di banche e fornitori.
Dunque, la società ha fatto richiesta di concordato in bianco per far fronte al cospicuo portafoglio ordini (6 miliardi) ma soprattutto alla difficoltà di incasso degli ingenti crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione. Sicché, viene affidata alle cure di tre commissari – Giovanni Bruno, Gianluca Piredda e Matteo Uggetti – i quali, è notizia di ieri l’altro, hanno citato in giudizio in solido, i componenti del consiglio di gestione e di sorveglianza di Condotte, la società di revisione e numerose banche, tra cui Bcc Roma, ed alcune società di factoring per un “petitum” complessivo di 389,3 milioni. Insomma, nella pancia della società – secondo i commissari – non ci sono solo incassi incagliati.
Il ramo d’azienda ceduto, invece, afferisce alle attività di Con.cor.su, società a responsabilità limitata, per la quale il Tribunale di Roma nel novembre 2018 ha dichiarato lo stato di insolvenza. E Con.cor.su è la società che si occupa precipuamente della realizzazione del Policlinico di Caserta.
Ora, secondo buone fonti, il Gruppo Sorgente avrebbe acquisito appunto l’ultimo ramo d’azienda rimasto di Condotte, la quale – attraverso un complesso intreccio societario che risparmio al lettore – col 15% partecipa anche al consorzio Eurolink, attraverso Webuild, che a sua volta di questo consorzio possiede il 45%. Ed Eurolink – per farla breve – è appunto la società consortile affidataria della costruzione del ponte sullo stretto di Messina. E il cerchio si chiude.
Ma, se per un verso, il passaggio a Sorgente è visto con speranza, per l’altro fa scattare la luce spia di allerta. Soprattutto da parte dei sindacati, visto che la politica è in tutt’altre faccende affaccendata. L’apprensione, fa capire Fulvio Pirchio numero uno della Filc Cisl provinciale – è generata dal fatto che ancora una volta il cantiere del Policlinico potrebbe fare semplicemente da bancomat, avendo in pancia un bel gruzzoletto di milioni di euro, per finanziare altre operazioni. Del resto, è già accaduto.
Da qui, se non proprio l’allarme, almeno il richiamo ad un’attenzione vigile dell’opinione pubblica. Perché la vicenda del Policlinico non è soltanto la storia scandalosa di un’opera incompiuta, ancorché necessaria, ma anche di una fiorente economia – d’accordo, ad elevato impatto ambientale – che ruotava intorno alle attività cementiere e estrattive e che dava pane, con l’indotto, ad oltre 500 famiglie. Attività dismesse, come si sa, ma che nel piano di una riconversione industriale e di recupero ambientale, proprio grazie al Policlinico, avrebbe potuto (e ancora potrebbe) non solo moltiplicare quei posti di lavoro per dieci, venti, ma anche avvalersi di un forte contenuto innovativo.
La vicenda del Policlinico di Caserta parte nel 2001, per impulso dell’allora rettore della Seconda Università di Napoli, Antonio Grella, originario di Sessa Aurunca. Sul piatto della gara di appalto ci sono 146 milioni di euro, divisi tra SUN (un terzo) e Regione Campania (due terzi) presieduta da Antonio Bassolino. L’opera dovrà essere realizzata in tempi record, cinque anni, secondo le migliori intenzioni.
Il primo cantiere parte nell’aprile 2005, a dieci anni dalla firma dell’accordo di programma. Ad aggiudicarsi i lavori è Immobilgi Federici Stirling spa del casertano Mario Granata Pagano, che però nel 2009 si vede rescisso il contratto dall’Università “a causa di gravi e continue inadempienze”.
Pagano, che invece imputa i ritardi a “problematiche esecutive”, preannuncia battaglia con la richiesta di 60 milioni di risarcimento. Il nuovo rettore della SUN, Francesco Rossi, ostenta ottimismo: “Il cantiere ripartirà entro quattro mesi”. Campa cavallo.
Ad una nuova gara d’appalto, per accorciare i tempi, si pensa alla soluzione di far scorrere la graduatoria. La Pizzarotti, un colosso, seconda in classifica, rinuncia. E così altri due. Il testimone viene, infine, raccolto dalla quinta società classificata in gara: Condotte, appunto. E siamo al 2012.
Nell’opinione pubblica, intanto, si fa strada l’idea che sia il baronato dei medici, che un largo settore della politica regionale, il Policlinico proprio non lo vogliono. E intanto i prezzi lievitano fino a 330 milioni. C’è prima una revisione. C’è poi da porre mano ad un errore della progettazione. Si procede a scartamento ridotto, con poche aziende in subappalto. Condotte va in affanno. Subentra la pandemia, che blocca tutto.
Ed eccoci arrivati ai giorni nostri. Sul proscenio irrompe il Gruppo Sorgente. E, magari, nel nome si porta dietro anche i fatti. Del resto, come scrive il poeta, “anche la speme, ultima dea, fugge i sepolcri”. Sepolcri che restano imbiancati, ma sono quelli della classe politica che nicchia. Perciò bisogna vigilare.
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