Caserta (di Antonio Arricale). Causa che pende, causa che rende. Ovviamente, agli avvocati non certo ai cittadini. La qual cosa – gratta gratta – cambiando l’angolo di visuale, equivale anche a dire che il problema, al dunque, è sempre lo stesso: la giustizia che non funziona. E, più in generale, la pubblica amministrazione. O, se preferite, quella cosa che – noi giornalisti per primi – depositiamo acriticamente in quel contenitore di rifiuti indistinto che chiamiamo burocrazia. Dimenticando, però, che è una parola – burocrazia – dietro la quale si nascondono, oltre alle inefficienze che ci rendono spesso insopportabile la vita quotidiana, soprattutto le persone. Sovente in malafede. Le quali, appunto, sulle inefficienze del sistema ci marciano e ci guadagnano. A nostre spese, ça va sans dire.
Tutta questa premessa per proporvi – se lo ritenete – una chiave di lettura alla storia che sto per raccontarvi, sia pure per sommi capi, e che forse molti di voi già conosceranno, magari anche nei dettagli più noiosi.
Una storia finanche banale, se vogliamo, ma che è anche l’ennesima, per noi casertani, che si trascina da trent’anni senza venirne a capo: in un andirivieni tra aule di tribunali diversi e rimpallo di responsabilità. Le quali ultime, però, chissà perché, non hanno mai un nome. Ma per le quali, seguendo il consiglio di Seneca – e, dunque, tornando alla premessa – non dovremmo mai stancarci di porre una domanda semplice semplice: cui prodest? A chi giova? E darsi – ciascuno secondo il proprio modo di vedere – una risposta. Anche maligna, se credete, che spesso è proprio quella giusta.
Dunque, la vicenda è quella dei parcheggi, di cui tutte le città hanno fame, in particolar modo quelle che si dicono d’arte o semplicemente a vocazione turistica. E Caserta, tra queste. Argomento, dunque, vitale, a detta degli stessi amministratori della città. E si capisce.
In particolare, del parcheggio interrato di piazza Carlo III (950 posti macchina) realizzato negli anni Novanta da quello che resta il più brillante degli imprenditori casertani del settore delle costruzioni, l’ingegnere Mario Granata Pagano, e dalla sua Cogein.
Ma nelle pieghe del ragionamento rientrano – mutati mutandis – anche i parcheggi di Piazza IV Novembre (il parcheggio del Monumento, sempre interrato, 350 posti su tre piani) chiuso inspiegabilmente dal 2018, e intanto divenuto una specie di discarica al riparo da occhi indiscreti. Un parcheggio mai più riaperto nonostante reboanti proclami da parte dell’amministrazione comunale, le cui intenzioni però – anche in questo caso – sembrano tristemente e irrimediabilmente incagliate nelle maglie della burocrazia.
E, infine, del parcheggio Pollio (altri 300 posti) (n.d.r. immagine di copertina) chiuso per riammodernamento e non ancora riaperto, sempre per cavilli o dimenticanze burocratiche.
Nel caso, però, del parcheggio di piazza Carlo III (il parcheggio sotto i Campetti, giusto per annotare) a complicare le cose ci si mette una battaglia legale che si trascina da cinque o sei lustri.
E qui, con i protagonisti della vicenda, tra pubblico e privato, oltre alla burocrazia (ma questi dirigenti hanno un nome e cognome oppure no?) entrano in scena e a più riprese anche i tribunali (ora il TAR, un’altra quello ordinario e poi di nuovo il TAR e via discorrendo) che pure, al di là delle sentenze, non riescono a mettere la parola fine alla storia. Da ultimo – per dire – all’ordinanza di sgombero emanata ad horas da un funzionario dirigente del Comune e impugnata ovviamente dalla Cogein, ancora una volta il TAR rinvia di un altro anno la vexata quaestio (all’8 febbraio del 2024).
Ora il lettore avrà capito che qui non interessa tanto inoltrarci nel ginepraio del contenzioso alimentato da discettazioni infinite sulla competenza, le procedure, i codicilli, i tecnicismi giuridici eccetera, cui ricorrono gli avvocati, specialmente quelli bravi – ma che ai nostri orecchi suonano semplicemente e prosaicamente come discussioni di lana caprina – quanto trovare il bandolo della matassa e sperare nella parola fine della vicenda.
Anche perché – stando così le cose – risulta francamente non soltanto difficile all’amministrazione comunale pensare di poter programmare politiche di sviluppo turistico (che paroloni!) ma più semplicemente pensare di intervenire e avviare lavori di ammodernamento e ristrutturazione delle opere, che intanto si rendono sempre più urgenti ed improcrastinabili per poter continuare ad essere utilizzate, richiedendo, peraltro, fondi non facilmente reperibili.
Così come, del resto, è del tutto impensabile pensare di poter attrarre investimenti imprenditoriali esogeni, alla luce di annose vicende come queste, rese ancor più intricate dallo scorrere del tempo, e che neanche i tribunali – appunto – riescono a risolvere in maniera certa e in tempi accettabili: vicende che oggettivamente scoraggiano anche i migliori intenzionati. Ma questo – disgraziatamente – non solo a Caserta, purtroppo.
Resta, perciò, al fondo, la domanda iniziale: cui prodest questo stato di cose?
Io un’idea me la son fatta, mettendo in fila tutti i protagonisti di questa vicenda: giudici, avvocati, funzionari pubblici, i quali utilizzano la norma non come mezzo per dirimere velocemente le questioni, ma semplicemente come potere interdittivo. Con tutto quello che ne consegue. Né escludo dalle responsabilità gli amministratori che, guarda caso, ai posti di comando sono tutti avvocati.
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