Ecco la Sanità che tratta male vecchi e bambini

Caserta (di Antonio Arricale) – La civiltà e il progresso di un popolo si vedono da come lo Stato tratta vecchi e bambini. Ma il nostro Paese – e la nostra regione, in particolare – tratta male sia gli uni che gli altri.

Per quanto riguarda la situazione dei bambini, peraltro, il dato è drammatico ab origine, per così dire. Infatti, si nasce sempre di meno, ricorda ancora una volta l’Istat, benché la Campania, con 1,33 figli per donna, unitamente a Sicilia (1,35) e Calabria (1,28) registri una fecondità al di sopra della media nazionale.

Un dato, quest’ultimo, positivo soltanto all’apparenza, dal momento che sempre la Campania, con un tasso del 10,9‰, è anche la regione che registra – insieme a Liguria (15,9‰) e Molise (14,7‰) – il tasso di mortalità più alto.

La Campania, insomma, è contemporaneamente la regione dove si fanno più figli, nell’ambito di una tendenza comunque negativa (registrata, al 31 gennaio 2023, una riduzione della popolazione residente pari a -3% rispetto all’anno precedente); ma è anche la regione dove si vive meno a lungo (qui la speranza di vita è di 78,8 anni per gli uomini e di 83,1 per le donne).

Dunque, in generale, non solo si fanno meno figli o non si fanno affatto, ma per quelli esistenti e in tenera età lo Stato – al di là dei grandi proclami di cui tutti i partiti si riempiono la bocca – fa poco o nulla, sia in termini di aiuti economici alle famiglie, sia in termini di servizi (asili, ludoteche, sostegno psico-socioeducativo etc.).

Gli anziani, poi, anzi, i vecchi – al diavolo il politically correct – vengono invece trattati anche peggio. Soprattutto con riferimento all’efficienza del sistema sanitario, che esce – lo ricordiamo – da uno stato di pesante pressione imposto dalla pandemia. Pesante al punto da indurre le persone, soprattutto se donne e se fragili ad avvalersi meno che in passato dei servizi medico-sanitari. L’Istat ha calcolato, infatti, un aumento di 5 punti della percentuale di anziani che hanno dichiarato di aver rinunciato a prestazioni sanitarie.

E, però, non c’entra solo il Covid sul retaggio del cattivo trattamento degli anziani.

Voglio raccontarvi, in proposito, un episodio di cui probabilmente ciascuno di voi è stato magari testimone diretto di uno analogo, ma che resta emblematico di come vanno le cose nella sanità campana.

Il signor Antonio D. R., 80 anni, di San Prisco, ha dovuto rinunciare ad un esame importante perché gli è scaduta la certificazione di esenzione. Ovviamente, con la pensione di 870 euro mensili, non poteva permettersi – pur volendo – neanche il lusso di anticipare il costo di 150 euro richiesto dalla struttura sanitaria accreditata. Armato, allora, di buona volontà e pazienza e carico di acciacchi, alle 6,30 del mattino, per evitare code e attese defatiganti, si è piazzato davanti all’ufficio dell’Asl di Santa Maria Capua Vetere, per rifare la pratica.

Finalmente davanti allo sportello, da un’impiegata visibilmente contrariata e pesantemente truccata, si è visto consegnare un modulo che – tapino – avrebbe dovuto compilare. Né si è intenerita la signora, alla richiesta gentile del nostro, di farlo per lui, impedito dall’età, dalla vista e forse anche dalla poca dimestichezza con la penna, lui che per una vita si è diviso tra calce, piastrelle e cazzuola. La penosa scena si è risolta, alla fine, con l’aiuto gentile di un’altra signora, che era lì – grazie ad un permesso dal lavoro – per accompagnare un altro vecchio più fortunato, probabilmente il genitore.

Ma sono scene, queste, ripeto, all’ordine del giorno, che però la dicono lunga sul rispetto che la nostra società e, in particolare la burocrazia, portano agli anziani. Ai vecchi.

Né è servito ricordare, alla signora dello sportello e, probabilmente, a molte altre come lei, che sono i nostri soldi a pagarle lo stipendio a fine mese.

Vi è, tuttavia, che è la sanità campana, nel suo complesso, a cadere a pezzi, mentre i responsabili dello sfascio restano arrogantemente e impunemente inamovibili.

Così come soldi nostri sono i fondi affidati alle mani di cattivi amministratori e dirigenti medici che fanno sprofondare il Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta, il San Pio di Benevento, il Ruggi d’Aragona di Salerno e il Policlinico Vanvitelli (sissignori, il vecchio Policlinico dell’Università casertana che da vent’anni non riesce a costruire il nuovo) tra i peggiori ospedali, secondo uno studio nazionale pubblicato dal Corriere della Sera.

E sempre dei contribuenti sono i 500 milioni annui che la Regione spende per viaggi sanitari della speranza, dagli ospedali del sud a quelli del nord. Una somma che rappresenta il 15% dei 3 miliardi complessivi pagati per la mobilità sanitaria in tutta Italia, perchè qui le liste di attesa sono secolari e gli organici continuano a non essere adeguati.

Per non parlare dei presidi sanitari di prossimità, ormai perennemente in sofferenza, dal momento che per le famiglie è sempre più difficile individuare un medico o un pediatra disponibile a prenderle in carico.

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