Caserta (di Antonio Arricale). A Caserta si contano 32 tra supermercati e discount e appena una cinquantina di negozi di prossimità. E il rapporto, in un veloce e ormai inarrestabile processo di fagocitazione, è viepiù a favore dei primi, che spuntano come funghi, e ad inevitabile detrimento dei secondi.
Un bene, un male? Non è questo il punto.
Dietro la proliferazione di ipermercati, oltre all’insito interesse economico, ci possono essere diverse altre motivazioni. Tra le molte – visto dalla parte imprenditoriale – alcune sono sicuramente più prosaiche, ancorché inconfessabili e, in ogni caso, difficile da dimostrare. Insomma, possono essere semplicemente legate alla necessità di reimpiego di capitali di dubbia costituzione. E, dunque, al riciclaggio di denaro sporco. Ma come dicevano gli antichi: pecunia non olet.
Altre motivazioni, che con le prime – beninteso – non hanno necessariamente legame, possono essere più semplicemente politiche. Ma non nel senso, pure encomiabile, della necessità di programmare e governare un ordinato sviluppo sul territorio delle attività commerciali, importante segmento del settore terziario; quanto – considerate le difficoltà di cassa dei comuni in dissesto e, dunque, di Caserta – della succedanea capacità di spesa che indirettamente si presenta all’ente locale, con il rilascio di licenze edilizie e commerciali, per realizzare aree verdi attrezzate e playground (o, se preferite, spazio giochi).
Ed è questa la logica, probabilmente, che da qualche anno muove l’amministrazione comunale di Caserta. La quale, infatti, ha concentrato in una sola area, a distanza di pochi passi, non uno, ma addirittura tre ipermercati. Mentre un quarto è in arrivo. E dunque – così immagino, almeno – di fare di via Borsellino e dintorni, non solo una specifica e anonima area commerciale, ma verde e attrezzata per il tempo libero dei casertani.
Sicché, alle società imprenditoriali interessate, scomputando parte degli oneri di urbanizzazione (dunque, con i soldi di tasse non pagate) oltre che costruire capannoni commerciali, a latere è stato richiesto di realizzare corsie di atletica, campi di basket, di calcio a cinque, traverse e pedane ginniche, eccetera, eccetera.
E, però – come spesso capita, soprattutto ai comuni in dissesto finanziario – la questione ora non è solo e non tanto, quella di realizzare questi spazi – come ha osservato, giustamente, qualche giorno fa, con una improvvida mozione il consigliere comunale dem Matteo Donisi – ma semmai di tenerli in buone di condizioni. Aspetto non secondario, evidentemente, a giudicare dallo stato di abbandono in cui già si trovano molti di questi spazi e attrezzature.
Manutenzione che – secondo Donisi e un generale sentimento di buon senso – spetterebbe alle stesse aziende che le hanno realizzate, le quali, pertanto, in difetto di ottemperanza, dovrebbero essere sanzionate.
Diversamente, non si capisce il motivo per il quale l’amministrazione comunale le abbia imposte, in una con il rilascio delle relative licenze, sapendo di non poterle manutenere e, perdipiù, rinunciando a importanti somme che avrebbero, se non altro, contribuito ad alleggerire l’indebitamento complessivo dell’ente.
Dunque, l’iniziativa di Donisi non fa una grinza. E, tuttavia, la sua mozione, giunta in Consiglio comunale accompagnata da un parere negativo, ancorché non vincolante, del funzionario dirigente Luigi Vitelli, è stata bocciata dai suoi stessi compagni di partito, scatenando una bagarre. (Le opposizioni si sono astenute).
Che cosa è, dunque, accaduto? Mistero. Impenetrabile busillis. Sicché, come accade di norma in questi casi, ne sono seguite infinite discussioni di lana caprina, con distinguo, sottolineature, prese di distanza, giustificazioni. Argomentazioni che, ad un certo punto, invece di fugare dubbi e perplessità, hanno fatto adombrare il sospetto, balenato alla mente dello stesso Donisi, che dietro la bocciatura della mozione si possano celare particolari e inconfessabili interessi.
Capito? Il punto è sempre lo stesso: cui prodest? Chi ci guadagna in tutta questa storia?
E siccome “voce dal sen fuggita poi richiamar non vale”, le toppe che dai banchi della maggioranza sono state messe hanno dato l’impressione, alla fine, di essere più grandi del buco stesso. Col risultato che, ad oggi, il sospetto rimane tutto intero. Così come l’erba alta e il generale senso di abbandono che ormai avvolge le aree cosiddette “verdi attrezzate” intorno ai grandi magazzini.