Mondragone. Come promesso, oggi vi riportiamo una simpatica storiella: “C’era una volta un Paese che s’era scordato di avere un Cimitero comunale. Quelli che lavoravano nel Cimitero, al soldo del Comune, erano invecchiati ed erano stati pensionati, ma nessuno si era preoccupato di sostituirli, né tantomeno di seguire la legge e di affidare i servizi cimiteriali a qualche impresa, attraverso una pubblica gara. Per fortuna già da un po’ bazzicavano spontaneamente in quel Cimitero alcuni lavoratori, che si davano un gran da fare – abusivamente, ma sempre bonariamente – mettendosi a disposizione dei lutti e delle perdite, che purtroppo si verificavano anche in quel Paese. Lavoratori che una volta trovatisi soli e abbandonati (forse non proprio da tutti) in quel desolato Cimitero, pensarono bene di “stabilizzarsi”, seppur sempre abusivamente, stabilendo autonomamente il prezzo dei propri servigi e intascando gli oneri del caro estinto, sempre in modo cash – anche per non disturbare i malcapitati con ricevute e fatture – e senza render conto ad alcuno. Almeno apparentemente. Lavoratori che si appalesavano, quasi magicamente, al cospetto di chi aveva perso un congiunto e con grande professionalità e amorevolezza, gestivano le burocrazie delle sepolture. Poi passavano all’incasso. Nella casse comunali di quel Paese intanto non arrivava neppure un soldo bucato.
“Sembravano parte integrante di quel Cimitero e nei decenni in pochi si erano posti la domanda: ma questi signori chi sono? Sono del Comune o di qualche impresa incaricata dal Comune? E così nessuno si accorse per anni e anni che il Cimitero di quel Paese non aveva più addetti comunali o incaricati dal Comune alle operazioni cimiteriali. Per anni e anni quei privati lavoratori servirono così impeccabilmente quel Cimitero, che neppure un cotanto Viceborgomastro, amministratore di lungo corso, che aveva la delega ad occuparsi del Cimitero, s’era mai posto domande al riguardo. Quel Viceborgomastro delegato s’era accorto che l’Amministrazione di quel Paese non aveva dipendenti adibiti ai servizi cimiteriali, ma non s’era mai posto la domanda: ma se non ho dipendenti chi fa sti lavoretti al Cimitero? E con quale autorizzazione?
“Si sa che nella vita non conviene farsi troppe domande e, infatti, quel Viceborgomastro diventò addirittura Borgomastro di quel Paese. Ma i soliti “rompicoglioni” da alcuni anni (già da quando quel Borgomastro era ancora Viceborgomastro) iniziarono a chiedere pubblicamente chi fossero coloro che servivano il Cimitero e – cosa più grave – fecero uscire la questione fuori dalle mura, addirittura coinvolgendo il Ministero dell’Interno, che fu interrogato dal leader in persona dei “rompicoglioni”, che era diventato nel frattempo parlamentare. Quel Viceborgomastro diventato Borgomastro s’inalberò, tuonò, schiumò, balbettò e s’incazzò. Subito dopo le denunce dei “rompicoglioni”, quei lavoratori, fino ad allora costretti ad essere servitori abusivi, avevano chiesto infatti di poter ufficializzare i propri servigi e l’Amministrazione di quel Paese – che aveva un “cuore tanto”- intrecciò con loro una fitta corrispondenza (d’amorosi sensi) per venire incontro ai loro desiderata. Perché fare tanto casino – era l’argomentare del Borgomastro – se si stava sistemando tutto? A modo loro, come al solito, ma comunque si stava sistemando.
“E quei lavoratori che fino ad allora avevano avuto a che fare con scavi e pietre, iniziarono frequentazioni (formali o informali) di alto livello che li portarono ad apprendere “cose grosse”, addirittura a familiarizzare con il “Project financing” e con l’art. 153, comma 19 del dlgs 163/2006 e, soprattutto, a considerare di costituirsi in impresa, impresa di famiglia, ma finalmente impresa. E mentre i “rompicoglioni”, che non amavano quel Paese (o forse non amavano soltanto il Paese che era così diventato per colpa di taluni), continuavano a lavare i panni sporchi in giro, alcuni Eroi della resistenza di quel Paese, della democrazia di quel Paese e soprattutto della legalità di quel Paese, si “smazzavano”, in silenzio e da anni, per cercare di trovare una soluzione al caso che si era venuto a creare. Erano partiti da una convinzione assoluta: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.”
“Erano stati provocati, ma avevano resistito e non si erano fatti sfuggire neppure una parola del grande lavorìo che era stato messo in piedi. Si, certo, nel Cimitero di quel Paese anche negli anni del lavorìo gattopardesco tutto era andato avanti soltanto grazie al lavoro informale (diciamo) di quei lavoratori non autorizzati e con pagamenti non tracciabili (diciamo). Ma che vuoi che sia tutto ciò rispetto a quello che stavano apparecchiando? È come voler spaccare in due un capello o, meglio ancora, un “vricc”. E poi, come andava dicendo quel Borgomastro della bontà, la colpa in definitiva era soltanto dei soliti cittadini di quel Paese che non pretendevano ricevuta o fattura e che non facevano altro che mettere in difficoltà quei lavoratori non autorizzati, costringendoli al “nero” e all’illegalità.
“E così un bel giorno, dopo tre anni di “trattativa privata”, portata vanti all’oscuro del Consiglio comunale di quel Paese – che per legge era l’unico organo che poteva decidere come gestire il Cimitero, ma non lo aveva mai fatto – le donne e gli uomini del fare tirarono fuori le “sudate” carte con tanto di progetto per la gestione del Cimitero presentato formalmente da quei lavoratori che avevano seppellito e diseppellito per tanti anni senza alcuna autorizzazione (ma che avevano anche intascato senza render conto, almeno non a tutti) e che nel frattempo – sapientemente instradati e imbeccati – erano diventati imprenditori e addirittura esperti di project financing. Carte passate di mano in mano e forse proprio per questo (oltre che per la solita ciucciaggine) pasticciate, incongrue, fallaci e con qualche numero a caso. Avevano dovuto fare i salti mortali per renderle credibili e compatibili, arrampicandosi sugli specchi per incastrare date e procedure. Ma tanto, avranno pensato: chi vuoi che vada a controllare? E poi il “pifferaio tragico”, vero ras di quel Paese come di tanti Contadi, sulla vicenda si era speso in prima persona, con tanto di riunioni mattutine presso il Cimitero e aveva addirittura buttato nella mischia un suo tecnico, che di solito utilizzava alla bisogna. Questo progetto s’ha da fare, avrà tuonato. E così la Giunta di quel Paese lo aveva convintamente approvato, proponendo così di cambiare tutto, affinché tutto potesse restare com’era. Lo aveva fatto perché non poteva buttare a mare anni e anni di abusivismo di necessità e perché in un Paese sempre più privatizzato come quello della storiella, l’importante era accaparrarsi un servizio o una struttura pubblica. Quel servizio o quella struttura non poteva poi che diventare per sempre dell’accaparratore. E così anche il Cimitero diventava per sempre di quei lavoratori che avevano avuto la lungimiranza di cominciare ad operare in maniera abusiva e al nero. Per sempre, anche se solo a metà, perché nel Cimitero di quel Paese (incredibile, ma vero) era in corso un altro project financing con un’altra impresa.”
Qui finisce la storiella, non sappiamo veramente come sia andata a finire. Possiamo soltanto sperare che il Consiglio comunale di quel Paese, che non aveva mai deciso – carte alla mano – quale dovesse essere la modalità di gestione del Cimitero, non abbia dato corso alla procedura di project financing, conseguente alla intervenuta dichiarazione di pubblico interesse della proposta presentata, poiché si trattava – seppure nella finzione di una storia inventata – di un colossale raggiro della legge, oltre che di una proposta irricevibile nella forma come nella sostanza. E vogliamo credere che quel Consiglio comunale avesse invece preteso di avere una relazione tecnica in grado di valutare tutte le possibilità gestionali, per poi scegliere in autonomia e con cognizione di causa. Questa è una storiella che comunque non potrà mai diventare realtà, perché racconta una vicenda occulta e torbida, premia un abuso tollerato per decenni, dà un colpo mortale alla trasparenza, alla concorrenza e alle pari opportunità e soprattutto perché mischia interessi pubblici con interessi privati. Oltre a optare per una scelta gestionale tra le peggiori. Nella realtà, per molto meno, vengono aperte sferzanti inchieste giudiziarie.
La storiella contiene però un post scriptum: chi comandava in quel Paese si stava dando da fare anche per altre sanatorie di necessità. Si stava lavorando per esempio – sempre ammucciati – per un Project financing con alcuni immigrati che d’estate cercavano di vendere qualcosa lungo la spiaggia, i quali – ottenuto il permesso di soggiorno e costituita un’impresa – stavano ipotizzando un progetto di pubblica utilità con tanto di boutique del mare lungo il litorale, ecocompatibili e amovibili. Una bellissima storia d’integrazione, che aveva spinto qualcuno ad ipotizzare addirittura di conferire loro la cittadinanza onoraria.
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