Intervista ad Arnaldo Gadola: “La sfida della politica per un futuro migliore dei giovani”

Caserta. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per analizzare l’attuale situazione politica. Arnaldo Gadola, è un politico che non ha mai avuto l’occasione di rappresentare gli elettori, che, sperano ci riuscirà un giorno, perché lo merita. Dicono alcuni, se fosse stato eletto, avrebbe prodotto più di altri.

L’avvocato nel suo percorso giudiziario ha un trascorso eccellente di primo piano per aver seguito procedimenti giudiziari insieme a Carlo Taormina. Ha iniziato a studiare Giurisprudenza alla Federico di Napoli di Via Mezzocannone, ai suoi brillanti studi coronati da numerose Lauree, si è unita un’intensa e altrettanto brillante attività politica.

Arnaldo Gadola, personalità di spicco della politica e del pensiero politico italiano. Ha dedicato e tuttora dedica a questa realtà una buona parte del suo lavoro anche se non è mai stato eletto. Quale definizione darebbe della politica?

“La politica l’ho sempre praticata – esordisce Arnaldo Gadola -, studiandola intensamente, come del resto ho fatto da professore. Detto questo, in uno dei miei libri 45 libri dal titolo – La politica nel cuore – la definisco come l’arte di affrontare e risolvere i problemi come ci hanno insegnato i vari Machiavelli e Rousseau che molti singoli politici non sono in grado di gestire o da soli o insieme ad altri”.

Come caratterizzerebbe la funzione della politica per la società e per i più giovani?

“La politica può assolvere davvero alla funzione – risponde Gadola -, solo se alimentata da quella risorsa immateriale e invisibile che è la fiducia dei cittadini. Risolvere i problemi di una Nazione, di una Regione o di un Comune richiede infatti sforzi che se ne coinvolgano i componenti e li si convinca ad accettare anche dei sacrifici in vista del bene comune. Chi non gode di fiducia non ha questa capacità. E – si badi – la fiducia non è così facile da ottenere come il consenso elettorale, anzi a volte e ingiustamente la si ottiene proprio quando si ha il coraggio di fare promesse non mantenute prendendo in giro l’elettorato, al contrario bisogna essere chiamati invece alla vera realtà e alla responsabilità. Infatti io non ho mai fatto promesse durante le mie 8 campagne elettorali. Altre due cose che sono essenziali per ottenerla: che non ci siano figli e figliastri, ma una trasparente eguaglianza di trattamento per tutti; che si affrontino le questioni che contano. I giovani vivono un momento di particolare smarrimento e di indecisione.

Il futuro purtroppo è per molti di loro incerto. Se è possibile ammettere l’esistenza di fasi precarie nella vita di ciascuno, è anche vero che non si può tollerare che i giovani vivano nell’incertezza assoluta circa il futuro. Migliaia di giovani sono purtroppo emigrati all’estero. La politica dovrebbe lavorare in un certo senso, creare progetti, proporre idee e realizzarle con fatti concreti. Eppure, manca qualcosa del genere. Sono tanti i nodi che la crisi economica di questi tanti anni ha portato al pettine e uno degli effetti più drammatici è stato un tasso di disoccupazione giovanile che non avevamo mai visto, lenito soltanto da offerte di lavoro precario e mal pagato. Certo che investire nei giovani esige progetti più generali, che – come dicevo – si facciano carico delle loro ansie in vista del futuro e con loro traccino dei percorsi che rendano almeno certi i traguardi che si vorrebbero realizzare. La voglia di impegnarsi in loro c’è ed è una grande risorsa non sufficientemente sfruttata”.

Sembra che i giovani mostrino una certa disaffezione nei confronti della politica, e una buona dose di scetticismo. Secondo lei quale è il motivo?

“Perché la sentono lontana – esclama Arnaldo Gadola -, sintonizzata su lunghezze d’onda dove non si riconoscono. Dipende anche da cosa si fa e da come lo si fa. Oggi le generazioni giovanili risultano più attratte dalla così detta anti-politica”.

Disaffezione dei giovani verso la politica che preferiscono altro. Quelli che si candidano sono soli, abbandonati, senza alcuna minima infarinatura. Come si spiega questo fenomeno?

“Non generalizzerei il fenomeno del passaggio dal palcoscenico dello spettacolo a quello della politica. Più interessante e diffuso è il fenomeno dell’ingresso di giovani tanto appassionati quanto incompetenti, portati alla politica dall’ostilità verso la casta e dal principio secondo cui è meglio essere rappresentati da <<uno come noi>>, che non da uno dei “loro”. E quando questi fenomeni accadono, accadono con brutalità, per cui è parte della casta ed è quindi nemico chiunque abbia un curriculum, comunque conquistato. Anche uno come me, ad esempio. Si dice spesso che la politica non è solo un’arte del vivere ma che è anche un’arte del saper vivere. Questo vuol dire che essa dovrebbe dare degli orientamenti per la vita individuale e pubblica, offrire dei punti di riferimento per i nostri comportamenti, quindi dei modelli esemplari per i giovani”.

Cosa diventa una politica che non si basa su valori e idee capaci di orientare, o che viene meno a questa vocazione?

“Sono partito qui io stesso dalla definizione della politica come un’arte. Ma le arti esigono una vocazione e quella di occuparsi degli altri è una specialissima vocazione, fatta di spirito di servizio, comprovata da una vita privata in cui nessun arricchimento si colga che possa essere dovuto all’esercizio di funzioni pubbliche, testimoniata perciò da onestà e dedizione. E mai, mai disposta a far prevalere il favoritismo sul merito e la competenza, cosa questa che per i giovani, e per la loro stessa educazione, è assolutamente essenziale”.

Allora, come si dovrebbe fare politica? I giovani, in particolare, cosa dovrebbero progettare e attuare?

“Progettare non soltanto software, ma anche rapporti umani in funzione di obiettivi comuni. L’Italia è uno splendido laboratorio per perseguire obiettivi comuni di risanamento territoriale, di valorizzazione storico-culturale, di tutela ambientale, di attenzione alla salute e al benessere dei più deboli, di crescita e coesione della società multietnica. Diano il segno di ciò che per loro da’ senso e concretezza al bene comune. E lo impongano all’attenzione di quelli che decidono, sino a diventare loro stessi quelli che decidono. Ci sono comunque delle derive populiste e demagogiche che si dovrebbero evitare…

Certo, i giovani sono attratti soprattutto dall’ostilità populista per la casta e qui, in nome del merito e della competenza che tanto hanno a cuore, rischiano di leggere come privilegio inammissibile la crescita di lungo la scala sociale, a prescindere dalle ragioni e dalle circostanze che l’hanno consentita e vedendo sempre lo zampino dei favoritismi. In tempi in cui l’ascensore sociale si è fermato è comprensibile che chiunque sia salito sia visto come nemico. Ma ciò a cui si deve aspirare è che l’ascensore riprenda a funzionare e che porti su soltanto chi ha merito e competenza”.

Concludiamo la lunga intervista, con una ultima domanda: la vedremo ancora come candidato non eletto o finalmente candidato eletto?

“Una domanda difficilissima per me, è giusto che a rispondere siano gli elettori…”.

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