Come anticipato nell’articolo della scorsa settimana si deve a S. Antonio Abate la prima organizzazione di persone viventi in comunità. S. Antonio fu anche il primo a dettare una Regola per garantire il funzionamento della vita anacoretica e, successivamente, della vita cenobitica. Il Santo nacque a Konan nell’Egitto settentrionale verso il 300. Perse i genitori all’età di 18 anni e cominciò, da quel momento, una vita ritirata fino a che, all’età di 35 anni, andò ad abitare nel deserto in una vecchia costruzione ove gli amici, per tenerlo in vita, dovevano gettargli il pane al di sopra del muro che circondava la casa. S. Antonio fu presto raggiunto da altre persone che vollero seguire la sua scelta di vita solitaria. Queste persone che abitavano in un luogo vicino al Santo non rappresentavano, comunque, una comunità organizzata. Si trattò, quindi, del raduno di discepoli intorno a un maestro dal quale ognuno traeva insegnamento riguardo alla vita da condurre.
Un altro eremita, S. Ammonio, fondò a sua volta un’organizzazione simile a quella di S. Antonio i cui componenti, pur vivendo separatamente, si riunivano il sabato e la domenica per cantare insieme le lodi a Dio. Questi primi Padri scegliendo il luogo dove costruire le proprie abitazioni non tennero, assolutamente, conto di regole igieniche.
San Paolo, altro eremita, scelse di abitare in una grande grotta la cui apertura era chiusa da una grossa pietra e dove vi era una grande palma che s’innalzava verso il cielo attraverso un’apertura della montagna. Il luogo era pulito e ameno con una fonte di acqua pura nei pressi della grotta. Anche S. Basilio scelse per la sua dimora un luogo caratterizzato da un bel paesaggio e dalla salubrità dell’aria. S. Pacomio fondò, in seguito, il primo vero monastero e organizzò la sua comunità attenendosi strettamente, a regole igieniche. Il monastero era costituito da un complesso di capanne o di piccole case, circondate da un muro di cinta. Nelle case erano distribuiti i vari servizi: portineria; accoglienza per i forestieri, cucine e refettorio; locale dove avveniva la vendita dei lavori fatti dai monaci e altri locali dove i monaci esercitavano i loro mestieri. Per la prima volta, i monaci pensarono di adibire un locale ad
infermeria dotata tra l’altro, di una mensa separata da quella ove pranzava il resto della comunità. Qui i malati venivano assistiti da monaci adibiti solo a questo ufficio.
Dopo poco il monaco Schenute fondò ad Atripe, nella Valle del Nilo, suo paese natale un altro monastero, il cosiddetto Monastero Bianco dove nel quarto secolo erano ospitati più di seicento monaci. Schenute era un egiziano nato nel 333 e morto a 118 anni. Siamo alla fine del secolo IV e molti altri monasteri, costruiti nei deserti della Tebaide, della Siria e della Palestina accolsero migliaia di monaci. La modernità di questi monasteri la si poteva desumere dalla preoccupazione che si aveva per i malati ai quali, secondo la Regola dei Santi Padri, non doveva mancare nulla. La divisione degli ambienti dei monasteri era finalizzata alla vita che vi si svolgeva: il tempo per il sonno, la veglia la preghiera, il lavoro, lo studio, i pasti. L’alimentazione continuava ad essere scarsa e questo era la norma in quei climi desertici. La scarsità del cibo, da quanto sappiamo, non apportava danni alla salute. Si dice che bastavano quindici datteri al giorno per nutrire un monaco.
Nell’articolo della scorsa settimana ho descritto la vita dei Santi Padri in Oriente. Si trattava di vita semplice regolata dalla preghiera, dal lavoro, dalle veglie notturne e dall’alimentazione particolarmente contenuta. Quando un monaco si ammalava veniva però trattato con particolare cura avendo rispetto della sua malattia. Ad essi erano concesse delle comodità dalle quali erano esclusi i sani. Curare gli infermi era un comandamento di carità cristiana. La morte doveva essere accolta con allegria perché significava una liberazione ed un ritorno al Padre ma non si doveva provocarla o accelerarla perché questo sarebbe stato un grave un peccato.
Per dimostrare quanto rispetto si dovesse portare ad un malato cito alcune frasi della Regola di S. Antonio: Non limitare il malato nel mangiare e non togliergli il pasto e ancora: Visita gli infermi e gli ammalati, riempi le loro misure e i loro vasi di acqua. Questo era il rimedio più semplice e più efficace cioè l’acqua proveniente dalle pure fonti, dalle vive sorgenti e dai dai misteriosi pozzi. L’acqua rianima l’animale estenuato, ristora l’uomo affaticato, arso dal sole e dalla febbre. Nella Regola si legge anche: non conturbare la sua anima afflitta. Il malato del corpo è malato anche nell’animo o per lo meno, è infermo. Soccorrilo nell’uno e nell’altro caso e non lasciare conturbare la sua anima che è afflitta. Nella Regola compare poi per la prima volta, la figura dei ministri degli infermi cioè dei precursori di quei monaci che, in seguito, diventeranno veri medici. L’infermeria, nei monasteri, era un luogo destinato ai soli malati dove nessun altro poteva entrare senza permesso. Gli ammalati ricevevano dai ministri degli infermi quello che era loro necessario. Pacomio faceva divieto ai ministri di entrare nelle cucine o nelle dispense e ai monaci malati proibiva di entrare nei refettori dei sani
per evitare che, indotti in tentazione, mangiassero cibi per loro proibiti.
La Regola di questi Padri del Deserto si basava sul lavoro, sulla preghiera e sulla veglia notturna e sull’assistenza dei malati. Nell’infermeria dei vari monasteri vi erano monaci inservienti che obbedivano ad un anziano monaco che per carità svolgeva questo servizio. L’Abate in persona visitava spesso i malati, li serviva anche, li confortava. Come già detto non era prevista nessuna restrizione di vitto per gli ammalati. Ad essi era riservati cibi sostanziosi quali vini, miele, latte burro, carne salata, formaggio e uova. Medici veri e propri, venuti da lontano previo esborso di notevoli di spese, visitavano gli infermi alla presenza di altri monaci ed erano liberi di prescrivere loro ogni genere di cura, persino bagni ed unzione del corpo. Questo era il terzo grado di organizzazione cenobitica rappresentato da un’elevazione progredita della cura del corpo.
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