Dal Vangelo secondo Marco 1 , 21 – 28

«Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava». Il brano evangelico di questa quarta Domenica del Tempo Ordinario ci porta fino alla sinagoga di Cafarnao, piccolo villaggio della Galilea. Gesù, insieme ai quattro discepoli, da buon ebreo rispetta la legge del riposo del sabato e, come suo solito, si dirige verso la sinagoga per insegnare. Il brano ci presenta, da subito, gli effetti dell’insegnamento di Gesù: «Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi». È singolare questa sottolineatura dell’evangelista: la folla mette a confronto l’insegnamento degli scribi con quello di Gesù. Prima di focalizzare l’attenzione sull’insegnamento di Gesù è bene conoscere meglio questi personaggi. Chi sono questi scribi?

Gli scribi o dottori della legge erano i teologi del tempo, coloro che studiavano la Sacra Scrittura, la interpretavano e la insegnavano al popolo nelle sinagoghe e nelle scuole. Pertanto, trasmettevano al popolo la Legge mosaica e insegnavano come viverla. Erano anche i legislatori in quanto custodivano le norme che regolavano la vita ebraica, fino ad elaborare dei veri e propri testi che definivano, in modo scrupoloso, ciò che si poteva e non si poteva fare in ogni minima circostanza. Erano arrivati a definire ben 613 comandamenti chiamati “divini” distinguendoli in positivi (248) e negativi e divieti (365). Personaggi con cui Gesù più volte si è scontrato a causa del loro modo di fare con il popolo descrivendoli come persone che “amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti.” (Mc 12, 38-39).

Il popolo vede e intuisce che Gesù non è così, è diverso, le sue parole sono diverse.

Si pone in modo diverso dagli scribi, le sue parole hanno un suono pieno di calore e colore. Non sapremo cosa Gesù abbia detto nella sinagoga ma cosa ha prodotto nel cuore dei presenti si. Lui è autorevole perché non giudica ma ama; perché non respinge ma accoglie; perché non condanna ma perdona. Lo spessore delle sue parole non è dato dalla conoscenza dottrinale ma dalla disponibilità di un cuore che sa amare incondizionatamente. Questa autorevolezza – amorevolezza di Gesù non è percepita solo dagli uomini ma anche dal maligno. Infatti, nella «sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». Da notare le due domande che precedono il riconoscimento di Gesù, definito il Santo di Dio.

Forse anche noi, almeno una volta nella vita, in un momento di disperazione o di dolore abbiamo chiesto a Dio cosa volesse da noi, cosa significasse quella situazione. Posseduti dalla disperazione ci siamo dimenticati che Lui è il Santo di Dio e che nulla gli è impossibile. Proprio in quei momenti abbiamo bisogno di Dio che non è venuto a rovinarci ma a salvarci. «Taci! Esci da lui!». Taci dolore, taci disperazione, taci solitudine, taci rabbia, taci odio, ed esci da ognuno di noi perché noi abbiamo riconosciuto Gesù Nazareno, il Santo di Dio. La parola umana degli scribi lascia spazio alla parola di Gesù, parola liberatrice, consolante e rivelatrice che lascia sempre il segno del suo passaggio e della sua permanenza nella nostra vita fino a chiederci «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua parola non lascia mai indifferente nessuno ma suscita sempre una reazione di risposta da parte nostra, sempre nuova e autorevole fino al punto da renderla “incarnata” in noi e per noi e dire come Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6, 68-69).

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