Gesù prosegue la sua missione di predicare nelle sinagoghe, di guarire coloro che erano affetti da varie malattie e di liberare coloro che erano prigionieri del maligno. La parola predicata cammina di pari passo con le azioni compiute da Gesù, così come ci viene indicato anche in questo brano evangelico, tratto sempre dal testo di Marco, di questa VI Domenica del Tempo Ordinario. Dalla sinagoga, passando per la casa di Simone e Andrea, alla strada c’è sempre bisogno che Gesù intervenga nella storia dell’umanità malata e ferita dal peccato. Anche in questo caso, come nelle domeniche precedenti, non conosciamo il nome del richiedente ma solo la sua situazione presente «venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Un lebbroso, un uomo piagato nel corpo ma, e particolarmente, nell’animo perché considerato maledetto da Dio, escluso, di conseguenza, dalla vita della comunità religiosa e sociale.
Nell’Antico Testamento sono presenti, in modo dettagliato, le modalità con cui bisogna riconoscere la malattia della lebbra e, in caso di guarigione, il tipo di offerta da presentare al Signore come ringraziamento per la purificazione ottenuta. In particolare, nel Libro del Levitico, capitoli 13-14, è presente un vero e proprio manuale consegnato ai sacerdoti. I versetti 45 e 46 del capitolo 13 del Levitico così ordina: «Il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: Immondo! Immondo! Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento». Si può comprendere tutto il dramma di una vita segnata, forse, per sempre. Questo lebbroso, però, ha ancora speranza e crede che Gesù Nazareno possa dargli una nuova vita, religiosa e sociale, e lo supplica in ginocchio chiedendo la grazia. Tutto ciò avviene in presenza della folla che assiste forse con occhi sprezzanti e giudicanti verso quest’uomo che non rispetta la legge levitica. Il lebbroso non pretende ma chiede, non esige ma supplica, non impone ma accetta ciò che Gesù deciderà per lui.
«Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato». La reazione di Gesù è strabiliante, la sua autorevolezza non è soltanto nelle parole ma anche nei gesti e nelle scelte che compie. Controcorrente non nel disprezzare la legge ma nell’amare l’uomo fino a comprenderne il dolore e farsene carico. Di fronte a questa preghiera umile e semplice Gesù sente compassione. Così papa Francesco definisce la compassione di Gesù: «La compassione non è un sentimento di pena, semplice: questo è superficiale… Compassione è coinvolgersi nel problema degli altri, è giocarsi la vita lì. Il Signore si gioca la vita: va lì, perché è il linguaggio di Dio, la compassione» (Meditazione mattutina nella cappella Casa S. Marta, del 17 settembre 2019). Gesù guarisce tutta l’umanità dalla lebbra del peccato e sana le ferite dell’uomo emarginato e lontano da Dio.
«Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte». La gioia di quest’uomo è incontenibile, non è più solo e chiuso in sé stesso, non è più disperato e senza futuro ma adesso ha una speranza di nome Gesù. Lui lo riabilita e lo rende di nuovo una persona, gli ridona la dignità e lo rende capace di relazioni nuove con Dio e con il prossimo.
Gesù libera l’umanità dalla lebbra del peccato, del giudizio e dell’indifferenza religiosa, culturale e sociale.
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