XII Domenica del tempo ordinario. Commento al Vangelo secondo Matteo 4,35-41

Domenica scorsa ci siamo lasciati con il discorso di Gesù sul regno di Dio, paragonato al seme che spunta da solo e al piccolo granellino di senape che, crescendo, permette con le sue foglie anche agli uccelli di trovare riparo dal sole o dalla pioggia. In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Così inizia il brano di questa XII domenica del tempo ordinario dando continuità alla missione di Gesù. L’invito è di non fermarsi una volta seminato il regno di Dio, la folla è stata istruita, ora c’è bisogno di passare “all’altra riva”.

Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Siamo sul lago di Genezaret e sicuramente la stanchezza si fa sentire fino al punto che Gesù si addormenta sul cuscino a poppa. Non ha il tempo di mangiare ma almeno un po’ di riposo meritato vista la fatica della missione. All’improvviso, però, la situazione si fa disperata, il lago è in balia del vento e le onde iniziano ad entrare nella barca. I discepoli, esperti pescatori, si rendono subito conto della situazione e la paura prende il sopravvento. Gesù è ancora lì a poppa a riposare, dorme profondamente, sicuramente sopraffatto dalla stanchezza ma non solo, perché la sua tranquillità è segno di chi confida pienamente in Dio, sembra quasi a dire: Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia (Salmo 130,2). Mentre i discepoli in questa tempesta notturna vedono la fine della loro vita, Gesù sa di non essere da solo ma il Padre è lì a vegliare sempre su di lui.

Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Gesù si sveglia non tanto per la tempesta ma per le grida disperate dei discepoli. Non è preoccupato del vento o delle onde del lago ma del fatto che i discepoli continuano ad avere poca capacità di comprendere chi hanno di fronte. Al vento e all’acqua è bastato un ordine per ritornare nei ranghi, alla normalità, cosa che non basta con i discepoli. Gesù quasi sorpreso chiede la causa, il motivo della loro paura cercando di far prendere coscienza che ciò che spaventa veramente non sono gli eventi esteriori ma quelli interiori, ovvero la fede non dipende da ciò che ci succede all’esterno ma da ciò che siamo veramente, da ciò che viviamo interiormente. La poca fede dei discepoli non è messa a dura prova dalla tempesta ma dalla relazione che hanno costruito con Gesù. Nonostante lui sia lì con loro, hanno paura fino ad accusarlo di negligenza. Non basta stargli vicino se poi non si ha fiducia in lui.

E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?». Alla domanda di Gesù i discepoli si rendono conto di non averlo ancora conosciuto veramente. È ancora uno straniero nonostante lo accompagnano già da un po’ nella sua missione. Dallo spavento di poter morire, al timore di non aver ancora compreso fino in fondo Gesù. Ma la domanda dei discepoli non ha trovato ancora risposta per garantire la ricerca nelle pagine del Vangelo “chi è costui?” Ognuno di noi può dare la sua personale risposta ma certamente non sarà mai la stessa per tutta la vita. Una cosa però non cambierà mai: ogni qualvolta la nostra barca si trova nel mare in tempesta guardiamo a poppa perché Gesù sarà sempre lì pronto a dirci: “non temere, non sei solo, io sono con te nella tempesta, insieme possiamo superarla”. Buona domenica del Signore.

 

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