In questa domenica XXV del Tempo Ordinario, Pasqua settimanale, la liturgia della Parola ci propone come testo evangelico il secondo annuncio della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù.
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Gesù attraversa la Galilea nel silenzio perché non vuole che la folla, la gente, lo sappia. Non perché avesse qualcosa da temere o da nascondere, ma perché ha bisogno di preparare il cuore e la mente dei discepoli nell’accogliere, comprendere e accettare il suo discorso. Può sembrare eccessivo l’atteggiamento di Gesù ma, nel contempo, può essere superficiale l’atteggiamento dei discepoli. Gesù sa bene che per comprendere la volontà del Padre è necessario formare l’animo, preparare il cuore e predisporre la mente. Il discorso che Gesù sta per fare ai discepoli è molto importante e non può cadere nel vuoto come il precedente (Mc 8,27-38) ma poco cambia perché i discepoli ascoltano e non capiscono, non si dispongono ad accogliere. Eppure Gesù parla chiaramente della sua missione e della strada da percorrere per raggiungere l’obiettivo. La chiusura dei discepoli porta alla paura, non chiedono chiarimenti, temono nel fallimento del loro seguire Gesù mettendo in discussione anche la relazione con lo stesso Signore. È più facile, per loro, nascondersi dietro al silenzio piuttosto che mettersi in discussione.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande.
Attraversata la Galilea giungono finalmente a Cafàrnao, Gesù si intrattiene con i discepoli nella casa. Sembra il percorso della vita, si parte alla nascita per raggiungere la “casa di Dio” e lungo il percorso viene chiesto di accogliere la volontà di Dio. In casa Gesù chiede ai discepoli il tema discusso lungo il cammino, cioè cosa ha accompagnato il viaggio. La domanda non viene posta perché Gesù non lo sappia ma, ancora una volta, per aiutare i discepoli a prendere consapevolezza dei propri limiti. Anche in questo caso tacciono, fanno silenzio, temono di essere scoperti del loro nuovo fallimento. La risposta dei discepoli all’annuncio di Gesù è la competitività, il prestigio, il comando. Lui che si è fatto schiavo, “assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil. 2,7-8) e i discepoli che cercano di scalare la vetta della gerarchia, come spesso accade anche nei tanti contesti ecclesiali.
Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
La risposta di Gesù alla loro sete di potere è accompagnata da un gesto molto forte: pone al centro un bambino. La gerarchia di cui parla Gesù non è fatta dal potere ma dall’amore, il più forte è colui che sa amare Dio e il prossimo come sé stesso. Il potere nel servire più che nel comandare, perché comandare è facile, sentirsi superiori agli altri è una tendenza di tutti, ma amare non è semplice. Il potere dell’amore non è costituito dal salire e dominare ma dallo scendere e servire. Il bambino posto al centro permette di focalizzare l’attenzione del discepolo: chi pensa a comandare non pone attenzione al bambino, ma a chi sa amare nulla sfugge e tutti sono importanti. Ecco perché chi ama sa anche accogliere perché sa cogliere negli altri la presenza di Gesù Cristo che si identifica con i piccoli, gli ultimi, gli insignificanti della storia. Buona domenica.