Pirateria, paura per gli utenti del “pezzotto”: ora DAZN fa sul serio

L’operazione anti pezzotto che ha portato ad arresti e blocchi del segnale ora rischia di colpire anche gli utenti: cosa sta succedendo

Cosa spinge milioni di persone a cercare scorciatoie per accedere ai contenuti a pagamento? La risposta, quasi sempre, è la semplicità: pochi clic, un prezzo stracciato e voilà, ecco l’intero catalogo di pay TV, piattaforme streaming e eventi sportivi. Ma dietro l’apparente convenienza del “pezzotto” si nasconde un sistema complesso, illegale e, soprattutto, pericoloso.

Negli ultimi giorni, l’Italia è stata teatro di una maxi-operazione contro la pirateria audiovisiva, ribattezzata “Operazione Takendown”, che ha messo in luce la vastità del fenomeno. La Polizia di Stato, in collaborazione con forze internazionali, ha smantellato una delle più grandi reti di streaming illegale mai scoperte, capace di servire oltre 22 milioni di utenti in Europa. Numeri impressionanti, ma non meno clamorosi sono i rischi che corrono coloro che si affidano al “pezzotto”, il famoso decoder pirata.

La rete smantellata non era un semplice sistema improvvisato: si trattava di una infrastruttura tecnologica avanzata. Secondo quanto emerso, l’organizzazione utilizzava server collocati in vari paesi, dal Regno Unito alla Romania, fino a Hong Kong. Attraverso questi server, i contenuti di piattaforme come Sky, DAZN, Netflix, Amazon Prime e Disney+ venivano rubati e trasmessi illegalmente. Una struttura capillare, capace di generare un giro d’affari di oltre 250 milioni di euro al mese, danneggiando non solo le aziende, ma anche l’intero sistema economico che ruota attorno ai diritti audiovisivi.

A capo di questa macchina del crimine, secondo le indagini, c’era un’organizzazione transnazionale con una struttura verticistica ben definita. Per mascherare le loro tracce, gli operatori della rete utilizzavano identità false, documenti contraffatti e sistemi di messaggistica criptati. Ma non è tutto: l’impatto di questa pirateria non si limita alle aziende, coinvolgendo direttamente anche gli utenti finali.

Cosa rischia chi usa il “pezzotto”: non solo multe

Chi si affida al “pezzotto” spesso ignora le conseguenze a cui va incontro. L’operazione Takendown ha acceso i riflettori su un dato fondamentale: gli utenti finali non sono invisibili. Le autorità sono ora in grado di tracciare chi ha usufruito di questi servizi illegali, e le conseguenze legali sono tutt’altro che trascurabili.

Secondo la normativa vigente, gli utenti scoperti a utilizzare decoder pirata o piattaforme streaming illegali rischiano una sanzione amministrativa che varia da 150 a 5.000 euro. Tuttavia, la situazione potrebbe peggiorare: alcune piattaforme come DAZN stanno valutando di intentare cause civili contro gli abbonati illegali, chiedendo risarcimenti per i danni subiti. Un processo che potrebbe aprire un precedente significativo nella lotta alla pirateria.

telecomando streaming stop
Chi usa il “pezzotto” rischia una multa ma anche una denuncia – casertanotizie.com

Ma il danno economico non è l’unico problema. L’utilizzo di decoder pirata espone gli utenti anche a rischi tecnologici, come il furto di dati personali e l’intrusione di malware. In un’epoca in cui la privacy online è già fortemente minacciata, affidarsi a sistemi illegali equivale a spalancare le porte a hacker e truffatori.

L’amministratore delegato della Lega Serie A, Luigi De Siervo, ha definito l’operazione Takendown un “passo cruciale” nella lotta contro la pirateria. “Questi criminali si avvalgono delle tecnologie più sofisticate, ma i loro tentativi stanno miseramente fallendo. Grazie alle Autorità, siamo in grado di colpire anche le infrastrutture più estese e di identificare i singoli utenti”, ha dichiarato. De Siervo ha inoltre sottolineato come la pirateria non sia solo un crimine, ma un attacco diretto a chi lavora onestamente, danneggiando gli investimenti e la qualità dei contenuti che gli appassionati meritano di vedere.

L’operazione contro il “pezzotto” è solo l’inizio di una guerra che non si limita al campo della giustizia, ma punta anche a sensibilizzare gli utenti. È chiaro che l’accesso illegale ai contenuti non è un problema esclusivamente economico: rappresenta una minaccia per la sicurezza dei dati personali e un freno agli investimenti nel settore audiovisivo.

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