“You could be the greatest, you can be the best” inizia così Hall of Fame dei The Script, con il suo ritmo incalzante e la precisione nel conto delle giuste sillabe. Senza troppi giri di parole, è la canzone meno banale che descrive Alessandro Sperduto, guardia di una Ble Decò JuveCaserta ferita, ma che ha voglia di rialzarsi e tornare a ruggire. All’orizzonte c’è il match contro Pozzuoli, che è fanalino di coda del campionato ma che settimana scorsa ha vinto la sua prima partita, dando una lezione non da poco a Corato, che era tra le squadre più in forma del girone.
“You can throw your hands up, you can beat the clock” recita ancora la canzone, ma come si ritorna sul parquet a battere la Virtus domenica pomeriggio? “Dovremo essere precisi nel nostro piano partita, eseguire bene ciò che prepariamo, fare le cose a modo e far sì che gli errori siano limitati al minimo, specie quelli di concentrazione che ci sono costati caro all’interno delle recenti partite. Dovremo tornare a essere aggressivi per tutto l’arco dei 40 minuti, una dote che abbiamo mostrato nella parte iniziale del nostro campionato, uno di quei punti di forza che ci hanno fatto vincere parecchie partite”.
Le parole scorrono come immagini, anzi come fotogrammi di celluloide che proiettano emozioni. Sperduto è uno di quei giocatori che ti fanno innamorare della pallacanestro, perché al talento che hanno coltivato aggiungono la voglia di non mollare mai, la determinazione di voler sempre arrivare oltre i propri limiti, ma soprattutto quel sorriso che vogliono fartelo avere come compagno di squadra sempre, e soprattutto mai come avversario. Le scorribande ad Avellino, contro Corato, o le magie contro Monopoli, quei tiri sulla sirena, ne han fatto un beniamino della piazza, lui che, conti alla mano, si ritrova a essere in questa JuveCaserta quasi per caso, visto che la Eurobasket Roma di A2 che lo aveva scelto, sparisce poco prima del campionato. Lui che Roma ce l’ha nel sangue, giallorosso a voler essere precisi. Ma da dove nasce la sua passione per il basket?
“Nonno (Claudio Vandoni ndg) è stato un allenatore per 30 anni, vedevo le sue partite, mi ha trasmesso l’amore per questo sport e mi ha fatto iniziare a giocare. Lo seguivo spesso, da piccolo guardavo le tribune sempre piene del Paladozza, era pura magia, la voglia di giocare è venuta da lì e ho inseguito il mio sogno”. Un talento di generazione in generazione, visto che coach Vandoni ha vinto 2 scudetti e una coppa italia femminile con il Geas, e ha nel suo curriculum anche esperienze oltreoceano da vice a UCLA e Kansas, al fianco di Roy Williams. Un passione per il gioco che ha trasmetto al nipote, che ha costruito passo dopo passo il suo gioco e il suo talento.
È come un videogame, ogni livello ha le sue difficoltà e vanno affrontate per scoprire nuovi mondi: interessante la coincidenza che uno dei nickname di Alessandro Sperduto sia proprio Alexkidd, ossia il primo grande protagonista e immagine di un videogioco. Cosa spinge Alexkidd, dunque, a dare il massimo, gara dopo gara, a volersi migliorare? “E’ la mia passione, sogno di arrivare il più in alto possibile e quando non la penserò così, quando mi mancherà voglia di migliorarmi, allora probabilmente sarà arrivato il momento di smettere. Guardo una partita alla volta, cercando di fare sempre uno step in più, non voglio mai avere rimpianti, o meglio pensieri negativi, su una partita che ho giocato. Tutto quello che potevo fare, devo averlo fatto, sul campo”.
Dalle parole emerge non solo una grande maturità ma anche e soprattutto lo spirito di un leader, forse neanche troppo silenzioso. Eppure non ha le fattezze dell’eroe classico, sembra quasi che ci sia un velo di mistero in lui, ed il parallelo con V per Vendetta è calzante. Forse non c’è la maschera di Guy Fawkes, ma le doti di telecinesi e la capacità di resistere ai contatti quando prende un tiro ci sono: inoltre, spesso Sperduto si è rivelato essere un innesco per i compagni, sia quando attira su di sé le difese avversarie, sia per quando mette in ritmo i compagni. E per un tiratore, come lui, il ritmo per far tirare un compagno è solo uno. Ma come si trova Alessandro Sperduto a Caserta?
“Si sta bene, è una città ovviamente più piccola di Roma, c’è un clima familiare, ed è super. Ovvio che tutti si conoscono e tutti conoscono tutti, spesso questo è un gran bene o può ferire di più. La storia di Caserta la conosciamo, è un incentivo a voler venire e stare qui, il pubblico è straordinario. Pretende molto, perché ha molta passione e competenza, ma questa è al tempo stesso la molla per farti dare di più”. Mentre la canzone dei The Script volge al termine, col “be a champion” in sottofondo, ritmato, resta solo un’ultima domanda, per il giovane esterno bianconero: esiste qualcosa che non ti è stato chiesto, ma che avresti voglia di dire?
“Domanda difficile. Le cose che volevo mi chiedessero me le hanno forse chieste e quindi quelle che non volevo mi chiedessero. Forse però una cosa da dire esiste: credo nei valori veri dentro e fuori dal campo, credo che è vero che facciamo un lavoro diverso dagli altri, ma non siamo diversi da chiunque faccia una qualsiasi cosa. Se è perché siamo esposti, nessuno dovrebbe potersi prendere la libertà di sentirsi al di sopra. Non ci sono differenze, purtroppo spesso, sui campi da basket, quel limite viene travalicato”.
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