Lnp Serie B: Caserta da un “calcio al secchio del latte”, ma c’è ancora speranza per i playout

Caserta. Sebbene non fosse certo la gara contro la Libertas Livorno lo spartiacque della stagione, la gara su cui fare affidamento nella corsa salvezza, la sconfitta per 69-86 lascia non solo l’amaro in bocca, ma un profondo sconforto di fronte a quella che rischia di essere l’ennesima pagina nera della storia della Juvecaserta.

Il condizionale ancora è d’obbligo, perchè qualora i bianconeri vincessero il recupero con Rieti di mercoledì e le restanti due gare a Sant’Antimo e Piacenza, e contemporaneamente Salerno perdesse in casa con Cassino e ad Avellino all’ultima giornata, ancora ci sarebbe la speranza di agguantare i playout: ma questo sarebbe un autentico miracolo sportivo e, per quello che si è visto quest’anno, appare davvero impossibile.

Anche in una gara da dentro o fuori, la Paperdì ha manifestato le conosciute mancanze del suo gioco. Se la continuità e il flusso sono anche frutto di una difesa, come quella livornese, che è tra le migliori del girone, l’atteggiamento sul campo e la ricerca degli egoismi sono il sintomo più evidente di una squadra che non si è mai consolidata.

Vuoi le vicissitudini del campo, i cambi del roster e della panchina più o meno azzeccati, gli infortuni, questa squadra ha sempre vissuto di folate legate ai suoi singoli, che snaturano uno sport di squadra come il basket. La prova ne è la scelta del quintetto finale di coach Dell’Imperio, che si affida ad un Mastroianni non in serata al tiro piuttosto che all’estro di Alibegovic, che ha sbattuto contro la difesa ogni qual volta ha provato a mettersi in gara.

A questa Juve è mancato per tutta la stagione un vero regista di gioco, con Zampogna che si è rotto subito, l’esperimento Mastroianni di Luise che è naufragato con i cambi in panchina, Lucas che è finito in naftalina e Vitale (a volte snervante) che ha dimostrato di essere più una guardia che non un regista puro.

Forse l’unico che aveva portato “cervello” era Dino Butorac, che purtroppo a Caserta era giunto col pesante carico di chi doveva stare dietro la mitragliatrice, ruolo che poi è stato preso da Cavallero, che ha avuto il merito di alzare le percentuali di una squadra sterile. E sarebbe servito come il pane visto che il pivot c’era eccome. Forse Paolo Paci (20 punti, 58% da 2, 100% sui liberi, 9 rimbalzi, OER – Coefficiente di Efficacia Offensiva 1,18) si è acceso tardi, anche e soprattutto per problemi di infortuni, ma era impensabile che da solo o quasi, come già accaduto a Legnano o con Piombino, potesse fare pentole e coperchi in stile Wilt Chamberlain.

Se manca la squadra, se i singoli non reggono, allora si va a guardare le stanze della società e qui le evidenze di questa annata fallimentare non possono di certo essere additate ad un presidente come Francesco Farinaro che ci ha messo la faccia, oltre che cuore e portafogli, anche davanti a mancanze non imputabili a lui, come i ritardi nella consegna del palazzetto o nella voglia precisa di cambiare giocatori e/o allenatori.

E comunque possiamo criticare tutto, anche quello che non è criticabile, possiamo inventarci responsabilità e dare colpe anche a chi non ne ha, ma alla fine, chi deve buttare la palla nel canestro sono i giocatori in campo.

La sconfitta con Livorno, lo scarto finale, sono figli del “calcio al secchio del latte* dato sul parquet di Legnano, in una gara che avrebbe davvero fatto la differenza, perchè quel colpo avrebbe significato tanto e non solo per la classifica. *(Aza Nikolic coach Virtus Bologna ’80/82 diceva: “Tu sei come mucca di Erzegovina, prima fare tanto buon latte e poi dà calcio al secchio”)

Tuttavia, come avvenuto tante volte quest’anno, nei momenti decisivi la squadra è venuta meno, non ha saputo buttare mai il cuore oltre l’ostacolo, nascondendosi dietro il dito del singolo di turno. E questo produce una probabile – sebbene non ancora matematica – retrocessione sul campo, meritata per quanto visto per gran parte della stagione, se si escludono episodiche eccezioni.

Anche dalle serate storte, così come da questi campionati, si può imparare. Toccherà rimboccarsi le maniche, sbucciarsi le ginocchia e costruire un gruppo che giochi unito e coeso, che sappia portare entusiasmo a una piazza che anche nella B2 potrebbe contare sul suo popolo, non essendo importante se l’avversario è Livorno, Roseto o una semplice Caiazzo o Benevento. È solo vincendo campionati brutti, sporchi e cattivi che si può formare l’anima di una squadra vincente, e forse a questa Juvecaserta 2021 è mancato quel salto.

L’anno scorso il talento sconfinato di Sperduto (che viaggia a 20 di media in A2 con un minutaggio molto basso) e la grinta di gente come Drigo, Ndoja, Cioppa e Mei aveva sopperito a delle mancanze, perchè il gruppo aveva fatto il suo e si era prodotto un miracolo. È mancato quel salto graduale dalla B alla B Nazionale che passava dai playoff persi ad Angri o da una finale con Sala Consilina che non c’è mai stata.

Adesso Caserta, salvo i miracoli, che solo i tifosi accorati, ma non i freddi analisti dei numeri, possono sperare, è chiamata a ripartire da zero e da una categoria che ha meritato sul campo.

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